Sarajevo under the siege: philosophy of survival and cultural resistance

di Autonomia Artistica.

“Articolare storicamente il passato non significa riconoscerlo ‘come realmente è stato’. Significa impadronirsi della (sua) memoria, così come appare in un momento di pericolo […] Il pericolo minaccia sia il deposito della tradizione, sia chi la riceve. Per entrambi è uno solo e lo stesso: diventare lo strumento della classe dominante. […] L’unico scrittore della storia, capace di riaccendere la speranza nel passato, è colui che è convinto che neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se egli è vittorioso. E questo nemico non ha mai smesso di vincere” Walter Benjamin, Sul concetto di storia, 1940.

“Non è il caso di avere paura, né di sperare, bisogna creare nuove armi” Gilles Deleuze, Postscritto sulle società di controllo, 1990.

«Sarajevo è simbolo della difesa civile, il luogo in cui la violenza è stata combattuta con la tolleranza, il fascismo con l’arte e la cultura, la distruzione con la ricostruzione, la morte con umorismo, il terrore urbano con lo stile di vita normale della città» Newsletter of cultural survival, FAMA, 1993.

«Sarajevo è stata privata dei suoi diritti sociali, civili ed esistenziali, compreso il diritto alla vita», Newsletter of cultural survival, FAMA, 1993.

The Untitled War vol. 2, progetto di Autonomia Artistica, olio e carboncino su carta, foto d’archivio del giornale Oslobođenje, Tigers (Esercito irregolare serbo) che massacra la popolazione di Sarajevo, 2017.

La notte tra il 4 e il 5 aprile 1992 le truppe serbe guidate dal generale Milutin Kukanjac entrarono a Sarajevo munite di carri armati e tentarono di occupare il palazzo presidenziale. L’offensiva fu fermata dalle Vespe musulmane, un gruppo di arditi provvisti solo di venti fucili. Il giorno successivo le strade della capitale bosniaca furono invase da diverse manifestazioni che trovavano le proprie parole d’ordine nei concetti della fratellanza multietnica e della denuncia alla guerra. Il 6 aprile alla folla che invocava la pace si aggiunsero 500 pullman di minatori giunti dalle città limitrofe, e, inalberando l’immagine di Tito, nume tutelare della Bosnia-Erzegovina plurietnica, cercarono di passare attraverso il ponte Vrbanja, dove la notte precedente i serbi avevano eretto una barricata per dividere Sarajevo in settori “etnicamente puri”.

Sarajevo, courtesy Archivio di Stato, 1993.

The Untitled War vol. 2, progetto di Autonomia Artistica, olio e carboncino su carta, foto d’archivio del giornale Oslobođenje, manifestazione del 6 aprile 1992, Sarajevo (Mi smo za mir: Noi siamo per la pace), 2017.

Ma il peggio doveva ancora venire: verso le 14, quando il corteo di 50.000/60.000 persone passò nelle vicinanze dell’Holiday Inn, miliziani serbi, appostati sul tetto dell’edificio, aprirono il fuoco uccidendo quattro manifestanti. La città venne stretta dall’Armata Popolare in una morsa d’acciaio, presa d’assedio e bombardata dalle alture circostanti, con la scusante che bisognasse difendere i serbi locali, dato che sarebbero stati espulsi in massa, trucidati e cacciati dalle proprie case.

The Untitled War vol. 2, progetto di Autonomia Artistica, olio e carboncino su carta, foto d’archivio del giornale Oslobođenje, 1992 (Simbolo della città assediata), 2017.

Nelle settimane e nei mesi successivi, Sarajevo fu bombardata da 600 a 1000 bocche di fuoco, secondo un sistematico rituale, teso a infliggere i maggior danni possibili a infrastrutture, linee telefoniche, ospedali, centrali di latte e pane nonché gli edifici simbolo, in particolar modo quelli religiosi e culturali.

The Untitled War vol. 2, progetto di Autonomia Artistica, olio e carboncino su carta, foto d’archivio del giornale Oslobođenje che rappresenta dei pallet con risorse umanitarie, 2017.

Venendo meno la quotidianità, i cittadini tentarono di resistere attraverso una ricerca spasmodica di normalità.

«[…] tra tutta la distruzione e la morte, i bambini sono nati, i compleanni sono stati celebrati, i matrimoni celebrati. Nella città circondata dal cerchio mortale del primitivismo si organizzano mostre, si realizzano film, si pianificano festival, si eseguono performance teatrali e musical», Newsletter of cultural survival, FAMA, 1993.

FAMA

La tenacia cittadina era riscontrabile anche dai piccoli gesti di quotidiani, che il collettivo FAMA raccolse in Newsletter of Cultural Survival. L’archivio attesta e documenta attraverso fonti ufficiali, testimonianze orali e immagini, l’insieme di azioni individuali, eventi pubblici, progetti culturali e artistici che la popolazione utilizzò come arma di resistenza. Grazie a questo documento sappiamo ad esempio che il teatro Kamerni 55 in tutto il 1993 ha ospitato 431 eventi: da rappresentazioni teatrali a musical e concerti rock.

Teatro Kamerni, 1995, foto di archivio FAMA.

Nonostante l’edificio fosse stato bombardato più volte, e lo spazio scenico illuminato da poche candele, i cittadini lo consideravano uno dei luoghi più sicuri della città, in cui trascorrere poche ma fondamentali ore di condivisione umana e intellettuale. Come il Kamerni  55 anche il teatro Sartr, in condizioni di decoro minimale e con l’ausilio di pochi strumenti ricavati dalla strada e da vecchi magazzini teatrali, ospitava band di Sarajevo e organizzava senza sosta spettacoli teatrali. Rimase nel cuore dei cittadini la performance Zid (Il muro), che raccontava la storia di un gruppo di persone chiuso in uno spazio senza via d’uscita. Per i cittadini fu un momento davvero catartico, una metafora della loro condizione urbana di assediati che li aiutò a esorcizzare la crudeltà di quel momento.

Survival Guide (1992) era invece una guida cartacea in stile Michelin, con la tipicità di un assetto militare, contenente consigli pratici per sopravvivere tra cui suggerimenti su dove reperire l’acqua, in che modo preparare dei piatti vitaminici con cibi poveri e scarse possibilità di cucinare, o ancora come e quali strade attraversare senza diventare facili mire dei cecchini. Questo materiale è ancora oggi un documento che attesta la morfologia urbana della città assediata, circondata dalle migliaia di truppe serbe e cetniche che uccidevano in media dieci sarajevesi al giorno e portavano all’incessante sfacelo cittadino.

Survival map, FAMA, 1992.

Proprio dalla necessità di un equilibrio tra distruzione e costruzione nel 1992 FAMA costruisce un’installazione multimediale contenente un padiglione espositivo, un piccolo palco per gli spettacoli teatrali, e un telo per proiettare film e concerti. Survival Art Museum era il nome della struttura, realizzata con materiali di fortuna, rovine di altre abitazioni e componenti di vecchie caserme dell’esercito jugoslavo. La costruzione, che doveva emulare una casa tradizionale sarajevese, fu diretta da FAMA ma realizzata collettivamente, al fine di preservare l’innovazione, l’ingegno e la creatività dei cittadini. Survival Art Museum esponeva al suo interno arnesi di sopravvivenza tra cui contenitori d’acqua e stufe fatte in casa, ma anche oggetti intrisi di storia passata e presente come carte nautiche, munizioni create da proiettili nemici e divise di guerra. Veniva spesso proiettato The screen of dreams, un film sulla Sarajevo prima della guerra, che i cittadini, secondo FAMA, avevano bisogno di visionare per non affidarsi a odi fugaci e irrazionali, e rischiare di rinnegare la loro storia e il passato socialista, elemento fondante proprio di quello spirito di resistenza culturale.

Survival Art Museum, 1994, Sarajevo, costruzione diretta da FAMA, foto di archivio da Newsletter of Cultural Survival, FAMA.

SAGA

Anche per SAGA la necessità di archiviare i comportamenti e le riflessioni dei cittadini durante l’assedio va di pari passo alla produzione artistica di nuovi contenuti. Il gruppo di filmakers realizzò numerosi documentari di breve e media durata che attestano, attraverso la ripresa di episodi quotidiani e momenti di creazione artistica, lo spirito di resistenza sarajevese. Durante le riprese si raccoglievano le testimonianze dei cittadini rispetto a questioni impellenti come i primi attacchi aerei della NATO (Nato, 1995) oppure ciò che necessitava Sarajevo durante l’assedio (Survival brew, 1993).

Survival Brew, 1993, Sarajevo, foto dell’archivio SAGA.

Survival Brew, 1993, Sarajevo, foto dell’archivio SAGA.

War in children (1994) interrogava i bambini rispetto ai loro sogni e alle loro aspettative, fornendo un quadro piuttosto crudo di traumi e speranze infantili causati dalla guerra.

War in children, 1994, Sarajevo, foto dell’archivio SAGA.

Waiting for parcel (1993) filma l’attesa e la spedizione dei pacchi, da cui poteva dipendere la sopravvivenza dei cittadini, mentre in Water (1995) emergono i grandi pericoli che gli abitanti affrontavano quotidianamente nelle spedizioni in cerca di acqua.

Waiting for parcel, 1993, Sarajevo, foto dell’archivio SAGA.

Water, 1995, Sarajevo, foto dell’archivio SAGA.

Per realizzare Bums and dogs (1993) SAGA accosta un pascolo di cani randagi agli incessanti pellegrinaggi dei senzatetto che ogni mattina vagabondavano nella città distrutta in cerca di beni di prima necessità. Prometheus (1995) ci illustra come un meccanico di mezza età, per sopperire alla mancanza di elettricità, costruisce sul fiume una mini centrale idroelettrica con le ruote di un vecchio camion. Catartica è la visione di The Shaw (1995), un filmato che mostra l’intrattenimento dei bambini da parte di alcune ragazze attraverso un teatrino in strada di bambole cecchine.

The Shaw, 1995, Sarajevo, foto dell’archivio SAGA.

Bums and dogs, 1993, Sarajevo, foto dell’archivio SAGA.

Angels in Sarajevo, 1993, installazione di Louis Jammes, foto dell’archivio SAGA.

Sulle note dei Pisch, una rock band sarajevese che operava sotto assedio, SAGA monta le immagini del progetto artistico che Louis Jammes aveva installato sulle rovine di Sarajevo. Erano grandi stampe serigrafiche ritraenti alcuni abitanti alati, che il fotografo aveva applicato sui muri degli edifici dilaniati. Nel progetto Angels in Sarajevo del 1993 e nell’omonimo documentario di SAGA le rovine si trasformavano in vere e proprie armi di resistenza culturale.

Un altro artista ripreso da SAGA durante l’assedio è il professore di scultura Fikret Libovac, che, accorgendosi di possedere una pistola (l’arte di scolpire), non ebbe mai paura di usarla per resistere spiritualmente e contribuire ad alleviare le tensioni dei suoi concittadini attraverso l’organizzazione di diverse mostre.

Sculpture, 1995, Sarajevo, foto dell’archivio SAGA.

La potenza dei cortometraggi di SAGA, “neorealisti” più per condizioni materiali che per ricerca cinematografica, era, e rimane, quella di informare il resto del mondo rispetto alla catastrofica situazione in cui riversava Sarajevo e raccontare lo spirito con cui gli abitanti affrontavano quotidianamente la brutalità dell’assedio.

Oslobođenje

«[…] Invece di finire in libreria, i libri oggi non si trasformano che in fumo. Invece di riempire gli scaffali decorati, sono divenuti merce di scambio per carbone e legna.[…] Scrittori e intellettuali fanno una selezione nelle loro ingombranti biblioteche e si salvano la coscienza riscaldandosi con la voluminosa letteratura marxista che hanno minuziosamente raccolto nei decenni passati» Unclassifiable war’s books and writers, Oslobođenje, 1994.

Mentre si bruciavano libri per sopravvivere, non cessarono dibattiti e reading di poesie, operavano drammaturgi, letterati e giornalisti.

The Untitled War vol. 2, progetto di Autonomia Artistica, olio e carboncino su carta, foto dell’Archivio di Stato di Sarajevo scattata subito dopo l’incendio della Biblioteca Nazionale (25 agosto 1992), 2017.

Scriveva WordPress a proposito di Oslobođenje: «la guerra infuria intorno e il loro edificio viene abbattuto, non è rimasto nient’altro che i ricordi di una vita normale; e loro sono sempre lì a stampare il giornale ogni singolo giorno». Durante i quattro anni di assedio Oslobođenje non saltò una pubblicazione quotidiana. Nei sotterranei dell’edificio, che a settembre del 1992, in seguito a numerosi bombardamenti, si accartocciava su se stesso lasciando in piedi solo la torre degli ascensori, i giornalisti scrivevano a lume di candela, sotto la guida del caporedattore Kemal Kurspahic. Fondato il 30 agosto del 1943 come giornale antinazista, Oslobođenje non si fece intimorire dai continui attacchi dei “bauhasiani” sulle colline – così il team del giornale chiamava ironicamente gli assedianti per le configurazioni artistiche che facevano prendere alla sede a causa dei continui bombardamenti – e nemmeno dalle organizzazioni internazionali, che citando il caporedattore «non desiderano altro, per differenti ragioni, che il nostro giornale non arrivi in città».

The Untitled War vol. 2, progetto di Autonomia Artistica, matita e carboncino su carta, foto d’archivio del giornale Oslobodjenje e raffigurante la torre di Oslobođenje bombardata, 2017.

Con la chiusura dell’elettricità, l’assenza di acqua e di telecomunicazioni, Oslobođenje proseguì con plotter e impianto a mano alimentato a nafta, grazie anche al sostegno economico di testate estere come Reporters sans frontieres. Un’intervista di FAMA riporta le parole di Kemal Kurspahic: «cambieranno il colore della carta, l’aspetto e i caratteri delle parole, ma Oslobođenje rimarrà, e costantemente, in lotta per il conseguimento della libertà e per la dignità della parola pubblica: Oslobođenje andrà fino in fondo».

Radio Zid

Nell’inverno del 1992 il professore universitario Zdrawko Grebo (giurista e docente presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Sarajevo) diede vita a una stazione radio indipendente per preservare la cultura urbana 
della città.

The Untitled War vol. 2, progetto di Autonomia Artistica, scotch, matita, olio e carboncino su carta, fotografia, 2017.

Zid significa muro, alludendo alla cortina di ferro e alla falsa utopia di libertà che si ebbe in seguito alla sua caduta. Anche se in un’intervista Zdrawko dichiarò di non rifarsi ad alcun partito o ideologia, Radio Zid era politicamente schierata contro ogni forma di nazionalismo, compreso quello di matrice bosniaca. La stazione radio lavorò a ritmi intensi durante tutto l’arco del conflitto, in onda 24h su 24h sulla frequenza 89,9 MH2 senza godere di alcun supporto governativo. I programmi radiofonici assunsero molteplici ruoli, spaziando dalla politica all’arte. La radio denunciò l’aggressione esterna e i media monolitici interni, cercando di fornire informazioni vitali ai cittadini. Si fece carico dell’organizzazione e del supporto a concerti, festival culturali, spettacoli di teatro (come il più noto Waiting for Godot con Susan Sontagin cui Godot si pensava fosse la personificazione dell’intervento dell’ONU o di Bill Clinton).

Waiting for Godot, Susan Sontag, 1993, Sarajevo, foto dell’archivio FAMA.

La radio passava testimonianze dirette dei cittadini e interventi da parte di artisti e intellettuali dei paesi dell’ex Jugoslavia che si connettevano dall’estero. Zdrawko e i suoi collaboratori istituirono un programma, in onda tutti i giorni dalle 17.00 alle 21.00, dedicato a tutte le forme artistiche, dal teatro al cinema e all’architettura, dalla musica alla narrativa e la poesia. Quando i bambini erano impossibilitati nell’andare a scuola, Radio Zid improvvisava una scuola invernale virtuale di trenta minuti al giorno. Il programma 20.000 mines under the ground – riferito ai milioni di proiettili letali sparati ogni giorno su Sarajevo – insegnava ai cittadini come riconoscere questi oggetti mortali.

Grazie a Radio Zid, inoltre, si sviluppò una nuova scena musicale in cui band Rock, Punk, Hiphop e Grunge ebbero libero spazio su questa stazione. Centinaia di musicisti, soldati e non, portano in radio i demo delle loro canzoni, registrati per lo più in cantine abbandonate o rifugi antiaerei e spesso nelle pause dai combattimenti. Il 14 gennaio del 1995 Radio Zid, con il sostegno di artisti stranieri, organizzò Rock under siege, un concerto a cielo aperto, che nonostante i problemi tecnici e il coprifuoco rappresentò un momento di catarsi collettiva. In realtà, come dichiararono alcuni musicisti e lo stesso Zdrawko Grebo in un’intervista con Radio Sarajevo dopo la fine dell’assedio, la prima versione del concerto si tenne verso la metà del 1994 al club Sloga, dove la band Irwin, probabilmente attraverso UNHCR, riuscì a portare un telo dipinto di un centinaio di chili da utilizzare come fondale del palco. Il rock era la colonna sonora della Sarajevo assediata, gli strumenti musicali erano come armi: non si trattava solo di musica ma di resistenza alla guerra.

Rock under siege, 14 gennaio 1995, copertina del cd.

Il collettivo Autonomia Artistica è formato da Andrea Caira, laureato in Scienze Politiche con una ricerca di tesi sulla rappresentazione di ETA da parte di due giornali spagnoli e uno basco e militante del Partito Comunista (PC), insieme ad Arianna Cavigioli che attualmente frequenta il secondo anno del Biennio in Arti Visive e Studi Curatoriali, Naba, si è laureata nel corso triennale di Pittura e Arti Visive con una tesi che analizzava attraverso casi studio esperienze di exhibition display per proporre un modello museale che sfugge dalle logiche del white cube; milita nel FGC (Fronte della Gioventù Comunista).

AA realizza prodotti culturali e ricerche artistiche in cui si fondono analisi storica, militanza politica ed elaborazione dell’immaginario d’archivio. Predilige formati che tendono a una fruizione il più collettiva possibile come riviste, volantini e libri d’artista, in cui immagini, disegni, saggistica e poesia diventano vere e proprie armi di denuncia. Il progetto What’s the Monster of the Saline?  indaga, attraverso una ricerca scritta e una produzione estetica, il destino dell’enorme complesso industriale di Saline Ioniche (RE), ad oggi un enorme scenario post apocalittico che si fa metafora perfetta del sud Italia tra lassismo statale e presenza mafiosa. In questo momento AA sta portando avanti una ricerca, che si completerà con una residenza in Bosnia-Erzegovina e si svilupperà in un libro, riguardo il ruolo della Resistenza culturale nella Sarajevo assediata (2 maggio 1992-26 febbraio 1996) e il suo legame con lo spirito multiculturale e collettivo della Jugoslavia di Tito. Un altro approfondimento della storia e l’esperimento del collettivo FAMA durante l’assedio della città: La resistenza oltre le armi, pubblicato ne “L’intellettuale dissidente”.

Per AA l’arte è un mezzo di analisi del contesto socio-politico attuale o passato e un’arma di denuncia rispetto alle contraddizioni del capitalismo.

Immagine presa da un mercatino di Sarajevo e modificata da Arianna Cavigioli, 2017.

Immagine presa da un mercatino di Sarajevo e modificata da Arianna Cavigioli, 2017.

 

 

 

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