Il femminismo delle zingare

di Elsa Finardi.

«Questo è un libro fondamentale e altamente stimolante, che racconta un mondo di lotte e resistenze femministe trascurate sino a oggi» Silvia Federici

 

«[Il libro] ripropone e rilancia un principio pratico del femminismo radicale: la questione non è mai occuparsi di “donne rom”, in quanto vittime, bensì di entrare in relazione per potenziarsi a vicenda, vedendo la forza di un’altra, di altre, in quel che vanno esprimendo ed elaborando, all’incontro tra biografie, lotte, percorsi di liberazione» Federica Giardini

 

«Corradi denuncia la retorica razzista dell’anti-zingarismo (rom-fobia), mettendo in luce la potenzialità radicale della coalizione e della solidarietà tra attiviste/i di genere rom da diverse collocazioni geopolitiche oltre i confini dello stato-nazione. Un contributo originale agli studi critici della razza e della colonialità in Europa» Chandra Talpade Mohanty

 

Lo scorso 7 dicembre 2018, il Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) ha pubblicato il 52° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, da cui emergono diversi dati sull’attuale scenario socioeconomico italiano: su un campione di 100 individui, per esempio, soltanto 23 possiedono condizioni sociali e finanziarie migliori di quelle dei propri genitori; solo il 50% del contributo alla ricchezza nazionale proviene dal reddito da lavoro (contro il 61,5% del 1975); la forbice della disuguaglianza sociale è sempre più ampia, mentre il grado di istruzione e le risorse investite nel settore educativo sono nettamente inferiori alla media europea. Questi, insieme a ulteriori risultati, incidono naturalmente sulle condizioni psichiche della collettività, tanto da delineare nel singolo, così come nel gruppo, atteggiamenti ostili e comportamenti antisociali nei confronti dello stesso tessuto sociale e politico del Paese. [i]

Zorka Ságlová, Kladení plín u Sudomere, 1970.

Dalle teorie di Deleuze e Foucault si dimostra come il potere disciplinare abbia agito e agisca tutt’ora per contrastare la mobilità e la libertà dei corpi. Quella del movimento è una peculiarità specifica della vita sociale di ciascuna popolazione (nomade o stanziale che sia), in special modo di quella contemporanea. Tuttavia, storicamente, con l’emergere delle prime comunità sedentarie, il movimento venne sempre più rapidamente percepito come impossibile da circoscrivere, inquadrare e, pertanto, controllare e disciplinare poiché i confini – a discapito delle credenze populiste – non sono mai riusciti a fermare il movimento umano.

Il flusso, il movimento, è parte peculiare della cultura zingara, che ancora oggi si trova alle prese con le difficoltà note alle minoranze inferiorizzate e marginalizzate. Di fatto queste persone hanno da sempre subito un processo di addomesticazione da parte di una maggioranza.

Selma Selman, Open Studios tonight at iscp – International Studio & Curatorial Program, New York, 2015.

Nomadi, Rom, Sinti, Traveller, Gitani, tutte terminologie specifiche di una parta emarginata, ma l’uso del termine zingaro/a è da approfondire: in Italia, l’Ufficio nazionale contro il razzismo vieta l’uso del termine Zingare/i, ignorando le comunità e i gruppi di ricerca che tentano di praticare una riappropriazione semantica della parola. D’altro canto assistiamo a una riedizione dell’uso negativo della parola “Zingara/o” da parte di gruppi politici razzisti e neofascisti [ii] anche al potere.

Ma l’uso di questo termine, anche adottato dall’autrice Laura Corradi nel titolo del suo libro Il femminismo delle Zingare. Intersezionalità, alleanze, attivismo di genere e queer [Mimesis, 2018], è una decisione da leggere come espressione di fiducia verso il potenziale sovversivo di ri-significazione delle parole, inteso come atto politico in divenire. La produzione di contro-definizioni può avvenire attraverso un’inversione semiotica dei significanti dispotici, come è avvenuto in passato nel caso di parole come Freak, Fag, Queer.

Selma Selman, Do not look into Gypsy eyes, 2013.

In termini di ricostruzione storica e sociale, il libro ci pone al corrente degli episodi della Resistenza zingara che in Europa è poco conosciuta. Non ne siamo informati perché buona parte di questi episodi hanno subito una sistematica cancellazione della memoria funzionale alle «tendenze politiche etnocide e svolgono un ruolo importante nel rendere invisibili la storia e l’agire politico delle comunità zingare». [iii]

Di fatto le comunità nomadi non hanno un archivio e ne consegue una frammentazione della memoria e dell’identità culturale quindi anche una frammentazione del tempo che racconta una ciclicità forzata, di una storia che si ripete uguale a sé stessa, inesorabile e talvolta spietata.

La mancanza di fonti delle popolazioni nomadi si inserisce in argomenti delicati quali l’identità di genere e l’orientamento sessuale poiché in assenza di memoria li rende difficili da ricostruire.

Selma Selman, Viva La Vida, video performance, 8’24”, 2016.

A partire dal tipo di identità gypsy e queer, Laura Corradi ricorda come «essendo collettività senza Stato, sia le persone zingare sia le persone queer non hanno paese, eserciti o confini stabiliti. Le bandiere zingare come le bandiere queer, rappresentano luoghi dell’anima. Le persone zigare sono state definite queer, bizzarre, strane, straniere. Queer è per definizione qualunque cosa sia in contrasto con il nomale, il legittimo, il dominante. È un’identità senza essenza. Il termine queer non si riferisce a una identità personale, quanto, piuttosto, a un posizionamento rispetto alla norma.

Jonas Staal, Anatomy of a Revolution: Rojava, 2015. Archival print on Canson Infinity. Fine art on Platine Fibre RAG Diasec 2 mm anti-reflex/Dibond 3 mm/prof 50 × 75 cm Courtesy the artist and Laveronica arte contemporanea.

Nella lotta del popolo kurdo di Rojava, sono emerse teorie politiche sul superamento dello stato, forma storicamente obsoleta, a favore di federazioni di comunità di gruppi etnici e religiosi diversi. Tali idee di democrazia diretta e di autogoverno sono state messe in pratica da donne e uomini kurde/i in una situazione di resistenza difficile, contro lo stato islamico (Daesh) e la politica fascista della Turchia. Questa Federazione Rojava nella Siria del nord ha posto l’accento sull’interculturalità e l’impegno al superamento costituzionale delle disuguaglianze di genere e classe: di ispirazione anche per le comunità zingare apolidi per lo sviluppo di nuove alleanze». [iv] Dunque le convergenze sono importanti, ma le identità si definiscono e si costruiscono anche attraverso il contrasto.

Selma Selman, Self-Portrait – AEG Vampyr, performance, 2017.

A livello sociale Zingari, Rom e Traveller sono spesso rappresentati in modo idealizzato, le comunità sono viste come luoghi in cui il tempo e lo spazio non sono merci e le persone gagé (non Rom) possono leggere le relazioni interpersonali zingare come “non-capitaliste” a causa della grande importanza data all’amicizia, alla convivialità, a valori non materiali.

Eppure, queste culture sono rappresentate dai media mainstream come brutali e materialiste, caratterizzate dall’avidità per l’oro, le donne zingare disegnate come ladre di figli e mariti dando così l’avvio a stereotipi ormai depositati nell’immaginario bianco e occidentale.

Alle zingare sono stati attribuiti molti stereotipi di genere: «malvage, capaci di rubare il cuore agli uomini ed i bambini nelle culle».

«La comunità zingara rimane la più demonizzata d’Europa, soggetta a costanti e ripetute stereotipizzazioni, oggi nuovamente assurta a capro espiatorio, in particolare a causa delle politiche neoliberali e della crisi economica. […] l’anti-zingarismo è l’unica forma di razzismo socialmente accettata in Europa»

 

È importante a questo punto ricordare cosa ha dato il via alla situazione che oggi vede le Zingare in Europa strette tra razzismo, sessismo e povertà.

Inaugurata nel Medioevo, la mostrificazione dell’alterità ha probabilmente raggiunto il culmine durante l’Inquisizione e, sostiene Corradi, buona parte del bagaglio di stereotipi contemporaneo sembra riprendere quanto sedimentato in quell’epoca.

Teresa Murak, Easter Carpet, Kiełczewice, 1974.

Teresa Murak, Easter Carpet, Kiełczewice, 1974.

La weltanschauung (visione del mondo) prodotta dalla cultura egemone, viene solitamente vissuta come “naturale” e influisce sul modo di percepire le altre culture. Il movimento femminista delle donne bianche aveva ritenuto politicamente importante la denuncia pubblica della violenza di genere, mentre le donne di colore e le comunità oppresse – vedi quella nomade – hanno dimostrato in molti casi che per loro è più utile un approccio diverso. La creazione di progetti di empowerment, sensibili alle differenze etniche, ha consentito la creazione di spazi sicuri dove poter palare di questioni intime, sessualità, verginità, matrimoni precoci e molestie. Così sono emersi nuovi modi di affrontare la violenza domestica e sessuale, la formazione di gruppi di persone tra pari per delegittimare il maschilismo, i comportamenti prevaricatori e gli stereotipi.

Un esempio di questo tipo di progetti è Lucha y Siesta, luogo materiale e simbolico di autodeterminazione delle donne contro ogni discriminazione di genere; un progetto politico che rischia lo sgombero in queste ultime settimane presso lo spazio occupato da circa dieci anni a Roma. O ancora, il teatro partecipativo è uno tra gli strumenti che le Zingare usano per sensibilizzare la comunità alla violenza di genere, come nello spettacolo Never going to beat you quando le donne sono andate in scena nel 2016.

Families of gypsies outside their caravans at Yarm Fair in 1931.

La persistenza dell’egemonia occidentale trova radici nel costrutto gerarchico che distingueva i colonizzatori dai colonizzati, le persone bianche dalle non-bianche, i sovrani dai subalterni, le donne dagli uomini. Negli ultimi decenni numerose ricercatrici e attiviste sono giunte a condividere la necessità di decolonizzare il sapere, la teoria e anche il femminismo. Laura Corradi ricorda come «le donne zingare, le donne nere, indigene, aborigene e maori hanno messo in discussione l’uso della parola “femminismo”. Ciò che si può ritenere una tematica o una lotta femminista varia in base al contesto culturale. […] Di fatto, mentre alcune attiviste di genere e donne leader si definiscono femministe, altre non amano l’espressione femminismo, che può apparire minacciosa agli uomini e donne della propria comunità. Alcune femministe di genere percepiscono il femminismo come storicamente legato all’eredità e al lessico delle donne bianche». [v]

Dunque la necessità è di decolonizzare la conoscenza e disconnettersi dalla cultura dominante visto che «la maggior parte degli studi rom sono ancora controllati da studiosi/e bianchi/e gagé».

Da questo l’esigenza urgente è quella di una ricerca e studio sempre più approfondito del femminismo intersezionale che trascenda i confini, sfidi i pregiudizi geografici occidentali e gli atteggiamenti eurocentrici ponendo attenzione alle minoranze: fisiche, culturali, religiose, di classe, partendo da un punto di vista mutevole, ma con radici antiche.

Laura Corradi, Il femminismo delle Zingare. Intersezionalità, alleanze, attivismo di genere e queer, Mimesis, Milano-Udine, 2018.

Elsa Finardi (Treviglio, 1995) studia e lavora a Milano. Laureata al corso triennale di Comunicazione e Didattica dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, oggi frequenta il biennio specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali di Naba (Milano). La sua ricerca si interessa alle politiche di migrazione e nomadismo con una sensibilità particolare verso il ruolo del corpo. Ad oggi questa ricerca si sta evolvendo verso il femminismo intersezionale e in particolare i disability studies.

note

[i] http://www.kabulmagazine.com/kinopolitica-thomas-nail/

[ii] Laura Corradi, Il femminismo delle Zingare. Intersezionalità, alleanze, attivismo di genere e queer, Mimesis, Milano-Udine, 2018, p.22-23.

[iii] ibidem, p.36

[iv] ibidem, p.107

[v] ibidem, p.86

Selma Selman, Selfportrait, 2018.

Il 16 maggio 1944, ad Auschwitz, i deportati Rom, Sinti, Caminanti (RSC), dettero vita ad una eroica insurrezione: la Resistance Romanì.

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