Il pittore femmina*

«All’inizio ho rinunciato all’amore per un ragazzo, con il quale sono tutt’ora in contatto, scegliendo di stare con Sanfilippo, un uomo con cui condividevo la passione per l’arte e che mi apriva la strada alla pittura. Per dieci anni non ho venduto un quadro e il mio lavoro è stato l’insegnamento nelle scuole» Carla Accardi [i]

«C’era una dignità, perché la logica imponeva che in quanto femmina, essere tutto sommato un po’ inferiore, dovevi anche stabilire rapporti un pò ambigui con i critici, diciamo “leccare” molto di più di quanto non dovesse fare un maschio. Tutte le artiste che ho conosciuto io invece erano persone molto agguerrite e con un forte senso di sé e che naturalmente non volevano piegarsi a questo tipo di logica» Cloti Ricciardi [ii]

«Ricordo un episodio che mi successe alla Galleria del Naviglio di Milano, dove alla fine degli anni ‘50, avevo partecipato ad una piccola mostra collettiva. Un collezionista scelse una decina di piccole tele e chiese a Cardazzo, direttore e proprietario della galleria, chi fossero quei giovani artisti. Quando arrivò alle mie telette – io ero al piano di sopra, dove si trovava l’ufficio, e sentii perfettamente le sue parole – disse: “È un nome femminile! Queste non le prendo, perché le donne poi fanno i figli e smettono di lavorare”» Giosetta Fioroni [iii]

«Guarda, io ho cominciato negli anni ‘60, giovanissima, la prima mostra l’ho fatta a 18 anni. E c’erano quasi esclusivamente maschi quindi sono andata avanti ma con estrema difficoltà. Poi fortunatamente lungo la strada ho trovato persone che mi hanno apprezzato, rispettato. L’arte era un sistema maschile chiuso. L’idea dell’artista maschio che vive in un empireo e accompagnato da una signora alle sue spalle che si occupa delle cose quotidiane, di fargli il curriculum, biografie, che telefona ai galleristi, ai musei, tutto il lavoro scomodo diciamo, era una modalità che imperversava, e tuttora imperversa. Jannis Kounellis per esempio era marito all’epoca di Efi Kounellis e lei era una bravissima artista, bravissima! Però ad un certo punto ha scelto di farsi da parte e fare la moglie del grande artista. Poi si separarono. Comunque, è così che funzionava» Cloti Ricciardi [iv]

«Poi c’era Eva Hesse che per noi era una grande perché era una donna e all’epoca c’erano ancora poche donne che facevano le artiste. C’era stata la Bontecou, la Georgia O’Keeffe, ma erano poche e ce ne rendevamo conto perché in quel momento c’erano tante ragazze che studiavano e c’erano poche donne nel mondo dell’arte, per cui ti imbattevi sempre in maschi, maschi, maschi! Era soprattutto un mondo maschile» Suzanne Santoro [v]

«Oggi in Italia non è raro che critici d’arte uomini o amanti della materia si auto-accusino con grande sfoggio per aver escluso le donne dalla linea ufficiale dell’attività artistica. Esaltano la consacrazione di grandi artiste addirittura dimenticate (come per esempio Marisa Merz) oppure eclissate dopo un brillante iniziale avvio di carriera (Carla Accardi); esaltano l’ingresso o il re-ingresso di queste artiste nell’economia dell’espressione artistica» Anne-Marie Sauzeau Boetti [vi]

«Immaginate un critico-maschio-femminista? Sarebbe una rarità sessuale. Conosciamo un critico di valore (donna) che ha sputato su Hegel ed eliminato il suo ruolo entrando nella comunità femminista. Carla L. ha già condannato il leone-critico-maschio-femminista che volesse allungare i capelli della sua egemonia mettendosi dalla parte loro» Tommaso Trini [vii]

 

Il pittore femmina è il titolo della rubrica dedicata alle donne artiste inaugurata nel 1975 sulle pagine della rivista Bolaffiarte; il primo articolo di Goffredo Parise è dedicato a Giosetta Fioroni, il secondo di Janus su Carol Rama, e il terzo, di Lea Vergine, Le artiste d’assalto, «Censimento delle artiste allineate in posizione di avanguardia», preceduti da due interventi sulla situazione americana delle donne artiste, tra cui lo spazio espositivo a gestione cooperativa A.I.R. Gallery.

Nel 1976 viene pubblicato il libro di Simona Weller Il Complesso di Michelangelo, nel quale vengono raccolte, attraverso schede, questionari e interviste, le testimonianze di molte delle artiste italiane; nonostante la crescente presenza femminile il mondo maschile dell’arte e della critica era ostile e fortemente misogino: «Insomma, l’Italia è un Paese maschilista in cui Carla Accardi, per affermarsi sul mercato dove ha raggiunto altissime quotazioni, ha dovuto dichiarare pubblicamente di rinunciare al femminismo».

Pubblichiamo Lettera aperta: le donne nell’arte, di Simona Weller e Marisa Volpi Orlandini, in “QUI arte contemporanea”, n.17, giugno 1977, pp. 50-56.

 

L’immagine di copertina è di Marisa Merz, Arpa, 1970.

 

[i] Carla Accardi in Enciclopedia della parola, intervista di Achille Bonito Oliva a Carla Accardi, realizzata a Roma nel 2005, p.324.

[ii] Intervista a Cloti Ricciardi, “Appendice”, in Marta Serravalle, Arte e femminismo a Roma negli anni Settanta, 2013.

[iii] M. De Leonardis, “Giosetta Fioroni: l’intervista”, cit. in Marta Serravalle, Arte e femminismo a Roma negli anni Settanta, 2013, ibidem.

[iv] Intervista a Cloti Ricciardi, “Appendice” in Marta Serravalle, Arte e femminismo a Roma negli anni Settanta, 2013, ibidem.

[v] Intervista a Suzanne Santoro, “Appendice” in Marta Serravalle, Arte e femminismo a Roma negli anni Settanta, 2013, ibidem.

[vi] Anne-Marie Sauzeau Boetti, Negative Capability as Practice in Women’s Art, in “Studio International. Journal of Modern Art”, January/February, 1976, p. 24.

[vii] Tommaso Trini, Marisa Merz, in “Data”, n. 16/17, 1975, p. 51.

 

 

 

 

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