How to take care of a radical feminism

«Oggi è il 14.09.2015. Ci troviamo nella sede di RAM radioartemobile a Roma per una conversazione su Carla Lonzi tra Angela Marzullo, Anna Cestelli Guidi e Dora Stiefelmeier»

 

ANGELA: Dora, potresti descrivere qual era il contesto privato e pubblico di Carla Lonzi quando scrisse Sputiamo su Hegel nel 1970?

DORA: All’epoca in cui Carla Lonzi lo scrisse non mi occupavo ancora di femminismo. Negli anni successivi partecipai al movimento femminista italiano, ma rispetto a Carla Lonzi, su tutto un altro fronte. Avevo comunque letto quel libro come ho letto tutti i suoi libri. Per rispondere alla tua domanda e partendo dalle molte conversazioni successive con Carla, dai suoi tanti racconti, posso solamente immaginare quale fosse il suo contesto privato e pubblico al momento della stesura di Sputiamo su Hegel. Con Carla ci siamo conosciute e frequentate regolarmente negli ultimi due anni della sua vita, davvero troppo breve. Era una donna molto riflessiva, sapeva ascoltare anche chi non condivideva le sue idee. Non l’ho mai vista aggressiva.  Quando Chiara Fumai, alcuni anni fa, fece la performance Sputiamo su Hegel le dissi che non riconoscevo la Lonzi nel suo operato. Chiara ne era cosciente, ma le piaceva creare un personaggio immaginario di natura opposta. Carla Lonzi aveva una dimensione molto privata. Era pacata, ma le sue parole erano precise, spesso taglienti. Quelle che non l’hanno conosciuta pensano che fosse una femminista irruente, battagliera. Carla non era così. Anche Rivolta Femminile non aveva quel carattere. Nel 1970 Carla Accardi, Carla Lonzi e Elvira Banotti fondano il movimento Rivolta Femminile partendo con la stesura del loro Manifesto. Partecipavano anche alcune mogli di artisti, Carla, la moglie di Luciano Fabro; Anna, la compagna di Giulio Paolini. Poi c’erano molte altre, anche diverse letterate. Era quindi un ambiente abbastanza artistico. La Lonzi era senza dubbio molto accentratrice. Carla Accardi faceva da forte contrappunto, fino a che non entrarono in collisione e la loro storia, a metà degli anni Settanta, si interruppe.

COMMING OUT FEMINIST, video still, Autoportrait des Participantes du Pool CH, How to take care of the Radical Feminism, HEAD Ginevra, 1-3 novembre 2017.

ANGELA: Carla Lonzi nel libro parla positivamente del movimento hippie. Ha avuto delle esperienze in quel mondo?

DORA: Carla negli anni Sessanta aveva passato un paio d’anni negli Stati Uniti e sicuramente aveva avuto dei contatti con quel contesto. Era un movimento diffuso.

ANGELA: Quali sono stati i rapporti di Carla Lonzi con i movimenti anarchici dell’epoca?

ANNA: Se ci sono stati…

DORA: Carla intanto non era marxista; io avevo una formazione totalmente diversa dalla sua. Venivo da studi marxiani alla Sorbona, lei invece dalla Storia dell’Arte, si era laureata con Longhi. Carla non era una donna di partito o di movimento, era politica in un altro senso. Immaginava un mondo diverso ed era convinta che le donne dovevano andare nella direzione da lei indicata.

ANNA: Dunque una dimensione piuttosto privata, come dicevi.

DORA: Sì, Carla basava tutto sulle relazioni. Diceva che la cultura delle donne, dai tempi più remoti, era una cultura delle relazioni, una cultura che gli uomini non possedevano. Secondo lei, era inutile scimmiottare e rincorrere gli uomini. Era totalmente contraria all’emancipazione che a suo avviso era controproducente. Non voleva fare la rivoluzione, non era una Rosa Luxemburg. Pensava che persino la Rivoluzione Francese fosse stata un disastro per l’autonomia delle donne. Diceva che per le donne le rivoluzioni erano un boomerang.

«Se fai la rivoluzione, ti ricasca tutto addosso, perché vai ad agire in una dimensione maschile»

Voleva uscire totalmente fuori dal contesto patriarcale. Tutto il suo fare era centrato sull’autocoscienza. Ma a differenza di altri gruppi a Roma che si riferivano alla psicanalisi come il gruppo di Pompeo Magno, lei non voleva saperne. Come «sputava» su Hegel, «sputava» su Freud. Carla ha avuto una seconda vita che pochi conoscevano, è sempre stata anche poetessa. Ha avuto meno fortuna e forse anche meno talento in questa veste, però aveva dentro di sé un desiderio di creatività e questo la rendeva molto differente da tutte le altre protagoniste del femminismo dell’epoca. È nato sicuramente, in quel momento il sodalizio, prima, e il contrasto e la scissione finale, poi, con Carla Accardi.

ANNA: Perché anche lei era artista.

DORA: Sì, Carla Accardi chiaramente era profondamente un’artista. Si era affermata da sola in un momento improbabile per una donna; l’ambiente artistico di quegli anni era totalmente maschile. Partecipando al femminismo non voleva però rinunciare alla sua vita artistica. Dopo un lungo sodalizio, la loro storia si incrinò. Una burrascosa chiamata telefonica tra le due segnò la fine del loro rapporto. La Accardi, in seguito, scrisse una lettera di chiarimento alla Lonzi, lettera mai spedita. Ho conosciuto Carla Accardi dopo aver incontrato la Lonzi. Alla Galleria Pieroni di Roma nel mese di aprile del 1982 Mario (Pieroni) ed io organizzammo una mostra con lei, Pistoletto e Dennis Oppenheim, suggerita da Pistoletto. Conoscevamo la Accardi solo a distanza, non ci apparteneva generazionalmente. Però con lei c’è stato subito un buon feeling.  Abbiamo poi collaborato per 30 anni, fino alla sua scomparsa. Un giorno dissi a Carla Accardi che mi dispiaceva che il suo rapporto con Carla Lonzi si fosse interrotto. Le dicevo che andavo a pranzo con la Lonzi ogni mercoledì (era il nostro giorno) e mi offrii come mediatrice. Per me loro due erano un po’ come Bettina von Arnim e Bettina von Günderrode nel Romanticismo tedesco. Il loro rapporto aveva la stessa potenza. Dicevo che non era giusto che privassero la cultura femminile del loro importantissimo dibattito. Carla Accardi era un pò titubante. Quando però Carla Lonzi si ammalò gravemente, la Accardi cambiò atteggiamento. Non si fece in tempo a riprendere il contatto: Carla Lonzi se ne andò prima.

Gulia Essay, How to take care of the Radical Feminism, HEAD, Ginevra, 1-3 novembre 2017, disegni.

Gulia Essay, How to take care of the Radical Feminism, HEAD, Ginevra, 1-3 novembre 2017, disegni.

ANNA: Qual era il tema del dissidio?

DORA: Carla Accardi voleva una libertà totale, l’arte era il focus della sua vita. E a Carla Lonzi questo non andava giù, le diceva:

«Non puoi fare Rivolta Femminile e poi mettere davanti il tuo carrierismo che è una cosa totalmente maschile»

A questo si era aggiunto anche il fatto che Carla Lonzi si era messa a vivere con Pietro Consagra e questo, tra le due Carle, creò ulteriori attriti. Tra i due artisti, la Accardi aveva senza dubbio più peso e, probabilmente in modo inconfessato, la Lonzi lo sapeva. Alla fine lasciò Pietro Consagra congedandolo con il libro Vai pure. Forse aveva fatto un po’ di autoanalisi. Riprendendo il filo della nostra conversazione: nel 1970 Carla Accardi, Carla Lonzi e Elvira Banotti fondano il movimento Rivolta Femminile con la stesura del Manifesto. Sputiamo su Hegel segna le tappe della presa di coscienza stimolata dai rapporti con le donne di Rivolta Femminile. La Lonzi in quel libro confuta alcuni tra i principi fondamentali del patriarcato e descrive come la cultura maschile in ogni suo aspetto ha teorizzato l’inferiorità della donna, facendo apparire questo aspetto come una cosa del tutto naturale.

COMMING OUT FEMINIST, video still, Autoportrait des Participantes du Pool CH, How to take care of the Radical Feminism, HEAD Ginevra, 1-3 novembre 2017.

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ANGELA: Tra gli anni Settanta e Ottanta, a Roma si formarono una serie di gruppi femministi con un forte radicamento a livello territoriale. In pochi anni videro la luce in città il Collettivo Femminista Magliana, quello di Appio Tuscolano, il Collettivo Femminista Testaccio e quello di Casal Bruciato. I collettivi femministi si formano per lo più nelle aree residenziali del proletariato urbano, promossi da giovani donne, spesso studentesse militanti di sinistra. Passo ad un’altra domanda che si riferisce a quanto hai già iniziato a dirci. Carla Lonzi parlava di una «rivoluzione femminile individuale» e non guidata. La stessa Lonzi, nella sua vita privata e pubblica, ha messo in atto questa rivoluzione?

DORA: Sì, queste intenzioni c’erano anche se non impedivano a Carla di voler essere il fulcro di Rivolta Femminile. C’era una certa contraddizione in Carla Lonzi come in Carla Accardi, su questo non ho dubbi.

ANGELA: L’autocoscienza è messa molto in valore nel testo di Carla Lonzi. Potresti raccontarci di questi momenti di autocoscienza?

DORA: Personalmente non ho mai seguito questi gruppi di autocoscienza, venivo da un altro approccio. Per quello che so dalle varie testimonianze, erano riunioni fiume. Per quanto riguarda Rivolta Femminile, le contraddizioni sono venute al pettine durante un loro soggiorno in Sicilia, vicino a Trapani. C’è un libro non molto conosciuto di Carla, Taci, anzi parla, su quell’esperienza. Il soggiorno durò una decina di giorni, tutte le donne presenti appaiono nel testo con un altro nome. Era il tipo di autocoscienza che piaceva a Carla Lonzi.

«Parlavano, parlavano e registravano tutto. Ognuna tirava fuori la propria vita»

Carla Accardi, che fece parte di quel gruppo, parlò della sua bruttissima esperienza nella scuola dove aveva insegnato arte ai ragazzi delle medie. Aveva invitato le bambine delle sue classi a riflettere sul loro posto nel mondo. Alcune di loro, tornando a casa, parlarono ai genitori dei discorsi della loro insegnante. Carla ricevette una diffida e fu buttata fuori dalla scuola malgrado fosse difesa da un avvocato molto bravo (era l’avvocato che difendeva anche le Brigate Rosse). C’è un libricino del 1972, Superiore e inferiore, che racconta questa storia delle bambine. Per Carla fu una bruttissima esperienza, pagò la sua adesione al femminismo in modo molto tangibile. In seguito, rinfacciò quell’esperienza alla Lonzi che la criticava per carrierismo. Diceva che aveva già pagato il suo impegno e non prendeva lezioni da nessuno. Per Carla tutta questa esperienza fu un segnale che lei si doveva dedicare all’arte e basta. Erano gli anni in cui creava opere in plastica trasparente, senza colore, senza niente, di plastica tout court. Bellissime. Sicuramente c’è una relazione tra l’esperienza della sua vita di allora e le sue opere. Carla Lonzi, all’inizio della loro relazione, fu molto vicina al lavoro dell’Accardi, tant’è che la presentò anche alla Biennale di Venezia del 1964. Con la nuova vita femminista non volle più occuparsene.

COMMING OUT FEMINIST, video still, Autoportrait des Participantes du Pool CH, How to take care of the Radical Feminism, HEAD Ginevra, 1-3 novembre 2017.

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ANGELA: Quale era il rapporto di Carla Lonzi con la fede, la dimensione spirituale?

DORA: Nei tanti pranzi che abbiamo fatto insieme, non l’ho mai sentita parlare di fede o di impegno religioso.

ANNA: Da qualche parte, ho letto che c’era una grande forza spirituale in lei.

DORA: Sì, ma dentro di sé. Lei, come quasi tutte noi femministe, pensava che le religioni monoteistiche fossero profondamente contro il femminile. Era uno dei pochi punti condivisi da tutte le parti del movimento. A questo riguardo va ricordata la posizione controversa di Ida Magli.

ANNA: Ida Magli insegnava all’università, faceva Teologia e Antropologia.

DORA: Ida Magli partecipa alla prima fase di DWF (Donna Woman Femme) scrivendo per la rivista un lungo saggio: Dalla storia naturale alla storia culturale – La donna nella ricerca antropologica, note dell’antropologa, potenza della parola e silenzio della donna. La Magli era una ex-suora di clausura. È ovvio che cercava di tirare acqua al suo mulino. Le va comunque riconosciuta una certa genialità nell’interpretazione del sacro. Un anno dopo la storia della lotta per l’aborto legalizzato, al quale era contraria, si ritirò dalla testata. DWF aveva una sua identità e non poteva avere all’interno della redazione una persona che remava contro.  Dopo che lei si era ritirata, presi il suo posto in redazione, quello che copriva le Scienze Umane.

ANNA: Questa rivista di Women’s Studies era molto distante dalle posizioni di Carla Lonzi.

DORA: Totalmente distante. Era una raccolta di contributi scientifici da parte delle donne. Sostenevamo che in tutte le scienze il punto di vista era fortemente influenzato dall’ego maschile.  Era quindi un discorso molto distante da quello di Rivolta Femminile. Eravamo più vicine alle femministe anglosassoni. DWF ha avuto 3 serie: la prima dal 1975 al 1976 con il sottotitolo Rivista internazionale di studi antropologici, storici e sociali sulla donna; la seconda dal 1976 al 1985 con il nome Nuova DWF, Donna Woman Femme. Quaderni di studi internazionali sulla donna; la terza dal 1986, con il titolo DWF.donnawomenfemme.

ANGELA: E il rapporto con gli altri gruppi italiani?

DORA: Ci si conosceva soprattutto a distanza. Contatti trasversali ce n’erano pochi. Si leggevano gli scritti reciproci, ma spesso non si conoscevano i volti, così come era capitato a me con Carla Lonzi. Oggi con Facebook questo non è pensabile. Poche di noi partecipavano a trasmissioni televisive; probabilmente l’unica eccezione era Si dice donna di Tilde Capomazza sul primo canale.

ANNA: C’è un libro bellissimo di Luisa Muraro, Maglia o uncinetto, 1981.

ANGELA: Com’era la vita privata di Carla Lonzi?  Quali erano i suoi rapporti personali con l’altro sesso?

DORA: Carla era certamente eterosessuale mentre in molti gruppi del movimento femminista c’era una notevole presenza di compagne lesbiche. Quando era giovane, era molto piacente e contesa. Ha avuto un marito, Lena, dal quale poi si separò, e un figlio, Battista, da anni sposato con la cineasta Francesca Archibugi. Ebbe poi, negli ultimi anni, una lunga relazione con l’artista Pietro Consagra.

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ANGELA: Come mai ha lasciato il mondo dell’arte in tronco per dedicarsi esclusivamente al femminismo?

DORA: Carla o faceva una cosa o ne faceva un’altra. Non era un tipo da tenere il piede in due staffe, non era una donna dalle convenienze. Presa la decisione di lasciare la critica, cambiò vita. Certamente aveva avuto anche delle delusioni da alcuni artisti, capita. Diceva che gli artisti con la «A» maiuscola spesso sul piano umano erano insopportabili. Quando Germano Celant all’inizio degli anni Ottanta stava preparando il catalogo per la mostra Identité italienne al Beaubourg, gli dissi che a mio avviso un testo della Lonzi non avrebbe sfigurato. Rispose: magari, ma guarda che non me lo fa, neanche mi riceve. Se vuoi provarci tu. Dissi a Carla: perché non spieghi una volta per tutte perché hai chiuso con l’arte? Tanti lo vorrebbero sapere. Mi rispose: non ho tanta voglia, ma ci penserò.

Quando la rividi mi disse: ho scritto una piccola cosa. La do a te, se vuoi la dai tu a Germano. Infatti su quel catalogo fu pubblicato un suo «statement», l’unico, dopo molti anni di silenzio, sul suo rapporto con l’arte e gli artisti. In questo piccolo testo spiega che la sua nuova vita era inconciliabile con il sistema dell’arte contemporanea.

ANGELA: Eccone un estratto:

Dando per scontato che l’opera è solo il prodotto dell’artista, spostavo su di lui la questione che un tempo era posta sull’opera. Per diversi anni questo interrogativo l’ho vissuto con loro, aderendo alle loro risposte esplicite e implicite. Poi ho avuto bisogno di pensare al problema per i fatti miei, in prima persona, e lì non c’era altra via che fuori dall’istituzione la quale non ammette che le cose vadano troppo oltre. Ma ormai avevo imparato dai miei artisti e andarmene non mi ha spaventato, anche se è spaventoso. Questa uscita mi ha permesso di arrivare a un distacco che mi permetterà di tornare. Al punto in causa, non all’istituzione.

DORA: Però vedi, quando veniva da noi in galleria (veniva a vedere tutte le mostre, ma mai il giorno dell’inaugurazione) dimostrava grande curiosità per le opere. Nel caso, ad esempio, del Giudizio di Paride di Fabro era entusiasta. Lo guardò a lungo, poi disse: è bellissimo, un lavoro molto sottile. Però non voleva più avere a che fare con gli artisti come persone.  Non era contro l’arte, ma contro un mondo dell’arte che a suo avviso non lasciava spazio a chi la pensava in modo diverso.

ANGELA: Ma che tipo di relazione aveva avuto con Fabro, prima?

DORA: Sicuramente molto affettuosa. Penso che Fabro ne fosse affascinato. C’era una sua azione, Fabro Bekleidung, in cui Luciano, a una Carla più o meno nuda, cuce un vestito addosso.  Erano gli anni Sessanta.

ANNA: Ricordo che nel catalogo della mostra L’art en Italie depuis 1959, curata da Jean Christoph Amman, accanto alla foto del lavoro (una delle Italie di Fabro) c’era una frase di Carla Lonzi che non era una didascalia, non aveva niente a che vedere con l’opera: la femme en a assez d’élever un fils qui lui devient un mauvais amant.

ANGELA: Poi c’è anche quest’altra: celui qui détient le pouvoir affirme: il fait partie de l’érotisme d’aimer un être inférieur. Maintenir le status quo est donc pour lui un acte d’amour.

DORA: Sicuramente c’era un discorso tra i due. Probabilmente Luciano prese queste frasi dai testi di Carla. Seguiva molto quello che scriveva. Posso chiederlo a Silvia, la figlia, magari ne sa qualcosa. Con Luciano Fabro sono rimasti amici, anche al tempo di Rivolta Femminile. Carla era anche molto amica di Paolini e della sua compagna Anna e poi di Kounellis. C’era la famosa storia della mensola con la treccia. Jannis parlò a Carla del suo progetto e (zac) Carla tagliò la sua treccia per l’opera. Lei era capace di questi gesti. Voleva essere anche fisicamente partecipe dell’opera, non spettatrice. Era quello il rapporto che aveva con gli artisti, un rapporto di totale parità. Loro erano un gruppo compatto, affiatato. Il libro di Carla Autoritratto del 1969 descrive bene il contesto. Bisogna tener conto che era un’altra epoca, più disinibita, più libera. Anche in Italia.

Alcuni artisti si sono arrabbiati con lei, anche prima che si allontanasse dall’arte. Ad esempio Getulio Alviani.  Quando lei lo intervistò per Autoritratto non volle che registrasse. Lei disse: non ti preoccupare, registro solo per me. Poi invece trascrisse e pubblicò tutto. Getulio si infuriò e ruppe una vecchia amicizia. Si era sentito ingannato.  Diceva: quando scrivo, scrivo. Quando parlo è un’altra cosa. Paolini scrive come parla. Però non tutti siamo uguali e io non tollero quello che hai fatto perché non puoi tradire la fiducia. Erano anni così. Oggi siamo talmente abituati ai tradimenti…

ANGELA: Per noi è difficile immaginare quegli anni.  C’era il senso dell’onore…

DORA: C’era anche molta meno distrazione.

ANNA: Ho letto da qualche parte che quando stava assieme a Consagra non andava più alle inaugurazioni di lui e non lo seguiva più perché le dava fastidio questa specie di cerimoniosità per l’artista uomo.

DORA: Per me, la sua storia con Consagra era strana. Una volta chiesi a Luciano Fabro cosa ne pensasse e lui mi disse: guarda, noi tutti avevamo dei caratteri pestiferi e capisco che Carla avesse bisogno di una persona con una sua gentilezza, una sua umanità.

ANNA: Poi lei l’ha lasciato, no?

DORA: Lei se ne andò… sì. Lui mi ha detestata anche se io non c’entravo per niente. Ho conosciuto Carla proprio nel momento in cui lei l’ha voluto lasciare, e lui ha messo in relazione i due fatti.

ANGELA: Forse era geloso dei vostri rendez-vous.

ANNA: Tutto questo è interessante per noi, ci fa capire la sua forza, la postura, l’attitudine, a prescindere dai suoi contributi di critica d’arte.

DORA: Con l’andare del tempo, Carla vedeva che in molti artisti la carriera prendeva il sopravvento, li vedeva modificati e non li sopportava più.

ANNA: Forse si era anche sentita esclusa da quello che facevano.

DORA: Penso semplicemente che a un certo momento non ci ha creduto più.

 

Manifesto di Rivolta Femminile, Roma, luglio 1970.

 

 

 

 

 

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