L’esilio come esperienza viva. No Memorials. Histoires matérielles de l’exil chilien à Genève. Una conversazione con Cristóbal F. Barria Bignotti

a cura di Roberta Garieri.

Nel 2023, a cinquant’anni dal colpo di Stato cileno dell’11 settembre 1973, l’impatto di questo evento traumatico persiste e continua a interrogare e stimolare la produzione accademica, il dibattito politico e la pratica artistica e curatoriale in diverse parti del mondo. La dimensione internazionale raggiunta durante i momenti commemorativi dimostra come questo evento sia parte integrante della nostra memoria collettiva globale.

La mostra No Memorials. Histoires matérielles de l’exil chilien à Genève (No Memorials. Storie materiali dell’esilio cileno a Ginevra), inaugurata il 23 agosto 2023 a Le Commun, recupera parte della memoria dispersa dell’esilio cileno, aiutandoci a comprendere e ampliare da una prospettiva globale e connessa la storia politica e culturale durante il periodo della dittatura militare.

In questa conversazione, il curatore Cristóbal F. Barria Bignotti rivela storie, pratiche, memorie e resistenze, insieme alle motivazioni e alle molteplici articolazioni che hanno portato alla realizzazione di questa mostra.

Roberta Garieri: Come è nata questa mostra, qual è il substrato latente e inesplorato che ti ha portato a rintracciare queste memorie disperse dell’esilio cileno?

Cristóbal F. Barria Bignotti: Prima di rispondere, vorrei ricordare che la mia storia familiare non ha alcun legame con la storia dell’esilio cileno, il che non significa che non possa avere un’empatia con questa storia o un interesse per essa. Infatti, da un paio d’anni mi occupo della circolazione delle pratiche artistiche in esilio, in particolare del muralismo cileno. Insieme alla mia collega Sandra Rudman, con cui sto lavorando a questo progetto, abbiamo notato come le persone evitino di parlare dell’esperienza stessa dell’esilio. Sia nei murales che nelle testimonianze dellə muralistə, si fa riferimento alle vittime di stupri e torture, allə scomparsə o a quanto accaduto durante l’Unidad Popular, ma si parla poco della situazione dell’esilio. Mi riferisco alla condizione dell’esilio come a una tragedia, a una violazione dei diritti umani. Primo Levi, nelle sue memorie, parla della colpa che lə sopravvissutə porta con sé, di non sentirsi mai legittimatə rispetto a chi non è sopravvissutə. Forse c’è qualcosa di questo, o forse è il dolore del ritorno alla propria storia tragica che rende difficile fare riferimento ad essa. Ma c’è anche la persistenza e l’imposizione delle idee di un “esilio dorato” o della “borsa di Pinochet” mobilitata dalla crudeltà e dalla disumanità. Queste idee sono ancora vive oggi e spetta a noi impedire che si riproducano.

NO MEMORIALS, Línea de tiempo, 2023.

La nostra intenzione era proprio quella di concentrarci sull’esilio, guardandolo da una prospettiva locale a Ginevra. La storia dell’esilio non si limita a ciò che è accaduto in Cile e allə cilenə, ma si è verificata contemporaneamente in migliaia di città e luoghi che sono stati trasformati dall’arrivo dellə esulə e in cui sono state tessute reti di solidarietà. La nostra considerazione dell’esilio non è nemmeno legale: l’esilio non finisce con la fine della dittatura, ma continua a tornare, come un trauma, trasmesso di generazione in generazione. Consideriamo l’esilio anche al di là della sua dimensione storica o narrativa, legata al numero dellə esiliatə o ai decreti che presumibilmente vi hanno posto fine, ma piuttosto come un’esperienza viva che perdura nel vissuto quotidiano di migliaia di persone. La mostra non vuole quindi presentare didatticamente la storia dell’esilio, ma piuttosto approfondire l’esperienza dell’esilio così come è stata ed è vissuta a Ginevra in questi 50 anni.

NO MEMORIALS, Línea de tiempo, 2023.

RG: Una domanda sul titolo: No Memorials. Histoires matérielles de l’exil chilien à Genève. A cosa si riferisce e come riflette sulla possibilità di ricostruire una memoria collettiva condivisa?

CFBB: Il titolo non è una dichiarazione sulla falsariga di “No ai memoriali”, come alcunə l’hanno interpretato. L’idea era piuttosto quella di proporre un nuovo concetto formato dalla congiunzione tra la parola memoriale e la sua negazione. Come il concetto di “nonluogo” di Marc Augé.

Nella sua condizione di sradicamento, l’esilio non ha un luogo dove poter essere ricordato. È impossibile scegliere un solo luogo sulla mappa per ricordare un fenomeno così transnazionale. Come racconta Loreto Rebolledo nel suo libro Memorias del Desarraigo: “L’esilio non ha una data né un luogo dove essere ricordato. Non ci sono memoriali, targhe, musei o altri supporti materiali”.

Di fronte a questo problema, la proposta della mostra era che gli oggetti e i materiali che compongono l’esperienza dell’esilio e la solidarietà intorno ad essa sono il luogo in cui possiamo fare memoria. Al loro arrivo in Svizzera, lə esulə hanno portato con sé oggetti legati alla memoria delle case che avevano dovuto lasciare, dellə parentə uccisə o scomparsə, dei giorni trascorsi nei campi di prigionia o del progetto politico e sociale violentemente interrotto. Nel corso degli anni, a questa memoria materiale si sono aggiunti altri elementi. Permessi di soggiorno, documenti di viaggio, lettere, manifesti o giornali. Queste tracce materiali dell’esilio risiedono in diverse case e archivi collettivi, come una nuvola delocalizzata di un memoriale condiviso e diffuso. Questi oggetti si costituiscono come non-memoriali che, senza riferirsi a un luogo particolare, ci danno accesso alle centinaia di memorie che circondano l’esilio. D’altra parte, oltre a essere oggetti passivi, come una targa o un monumento, svolgono un ruolo attivo nell’esperienza quotidiana dell’esilio e nella conservazione della memoria.

Marisa Cornejo, “A los malos les faltaba 1 para ganar, los malos son como punk protofascistas, misóginos… nos interrogaban…mujer que no dice nada y guarda el secreto” (Ai cattivi mancava 1 per vincere, i cattivi sono come dei punk protofascisti, misogini… ci hanno interrogato… una donna che non dice niente e mantiene il segreto), inchiostro e acquerello su carta, 2023.
Marisa Cornejo, Three potatos, 2012.

D’altra parte, abbiamo scelto questo titolo anche perché non è possibile, né è nelle nostre pretese, considerare questa mostra come un vero e proprio memoriale. Se consideriamo che un memoriale deve soddisfare almeno due condizioni, la prima è quella di essere un luogo in cui una comunità fa memoria collettivamente e la seconda è quella di essere un luogo che offre una certa durata a questo esercizio di memoria, possiamo dire che la mostra soddisfa solo la prima di queste due condizioni. Abbiamo invitato le associazioni che hanno fatto parte di questa storia a svolgere una serie di attività per mantenere viva la memoria e il progetto politico che il colpo di Stato ha cercato di annientare. Si tratta di attività come laboratori di arpilleras [i], laboratori di classificazione degli archivi, proiezioni di film seguite da forum di discussione, la costruzione di un perro-mata-pacos [ii]-en-exilio, ecc. Fin dall’inizio, la mostra è stata progettata per ospitare questa serie di attività; una sala speciale è stata destinata alle azioni che avrebbero preso forma durante la mostra, come la scultura del perro mata pacos, las siluetas [iii] o le arpilleras, ma anche una delle sale è stata adattata per le proiezioni che si sarebbero svolte contemporaneamente all’esposizione delle opere. Anche il dispositivo di tende di plastica in cui sono esposti gli archivi della sezione “No podemos dejar nada”, Fulvia l’ha progettato per essere mobile, in modo che lo spazio fosse dinamico e potesse ospitare attività come concerti, conferenze, ecc. Infine, abbiamo costruito un grande tavolo attorno al quale si sono svolte attività.

Fulvia Torricelli, No podemos dejar nada, 2023.
Fulvia Torricelli, No podemos dejar nada, 2023.

RG: Come si articola la mostra?

CFBB: Innanzitutto, è importante dire che la mostra combina diversi discorsi, da un lato quello dell’arte contemporanea, dall’altro quello dell’etnografia, e infine anche quello della costruzione partecipativa della memoria. La mostra si compone di due parti principali: la prima si intitola “Huellas” (Tracce) ed è opera dell’artista cilena Marisa Cornejo, che fa parte di questa storia di esilio e lavora da 20 anni con la sua storia personale e familiare. La seconda parte si intitola “No podemos dejar nada” (Non possiamo lasciare nulla) ed è condotta da Fulvia Torricelli, musicologa ed etnologa svizzera che da anni lavora a progetti partecipativi, soprattutto con le comunità dellə emigrantə.

Fulvia Torricelli, No podemos dejar nada, dettaglio del diario murale realizzato dai prigionieri del campo di Tres Alamos, 2023.

“Huellas” esplora la dimensione transnazionale e transgenerazionale dell’esilio. Marisa Cornejo è andata in esilio con la sua famiglia quando era bambina. Dopo aver vagato per diversi Paesi, come l’Argentina, la Bulgaria e il Belgio, la famiglia riuscì infine a stabilirsi in Messico. Durante tutti questi anni il padre, insegnante d’arte, imprigionato e torturato durante le prime settimane della dittatura, ha continuato a produrre opere. Queste opere fanno ora parte dell’archivio di Eugenio Cornejo, che Marisa ha continuato a trasportare in tutto il mondo e che ora si trova in Svizzera. Il lavoro che Marisa espone in questa occasione cerca proprio di riattivare questo archivio e di rielaborare la memoria della sua storia familiare. Da un lato, Marisa realizza una serie di performance in cui stampa con il proprio corpo le tavole xilografiche del padre. Marisa ha realizzato queste performance in diversi luoghi chiave per la storia della sua famiglia, come lo stadio nazionale, dove suo padre fu torturato, o una stazione ferroviaria in Bulgaria. D’altra parte, Marisa realizza una serie di disegni dei suoi sogni in cui il padre defunto riappare continuamente. Entrambe le serie di lavori ci mostrano come l’esilio non sia finito con la fine della dittatura, ma sia ancora attivo oggi sia a livello inconscio che corporeo. Ci mostrano come il trauma del colpo di Stato, della violenza fisica e psicologica e del fallimento forzato del progetto per il futuro che l’Unidad Popular significava, si trasmetta da una generazione all’altra. Gli oggetti dell’archivio Eugenio Cornejo sono le tracce o i resti di una delle migliaia di storie familiari legate alla violenza esercitata, tracce su cui Marisa lavora mettendo il proprio corpo, sia trasportando l’archivio da un luogo all’altro sia facendolo rivivere nelle performance.

“Grève des femmes”, Collectif Yanequén, Arpilleras, 2023.

D’altra parte, “No podemos dejar nada” è il risultato di una ricerca partecipativa diretta da Fulvia, che ha raccolto quasi 450 oggetti e documenti che hanno fatto parte della storia di questi 50 anni di esilio. Questi oggetti appartengono a membrə della comunità cilena in esilio, a militantə che hanno partecipato ai movimenti di solidarietà a Ginevra, a membrə della seconda generazione dellə esulə e ad associazioni legate a questa storia. Ognuno di questi oggetti ha anche una didascalia che, invece di riferirsi a una sorta di classificazione museale, è costituita dalle testimonianze dellə proprietariə degli oggetti. Queste didascalie sono state disposte su un’unica parete, generando un’installazione che ci permette di assistere all’enormità delle testimonianze che circondano questi oggetti. L’esercizio svolto da Fulvia ha comportato non solo un enorme lavoro di ricerca e compilazione da parte sua, ma anche un esercizio attivo da parte della comunità legata alla storia dell’esilio. Sono statə loro stessə a dover cercare e selezionare questi oggetti.

Fulvia Torricelli, No podemos dejar nada, 2023.
Fulvia Torricelli, No podemos dejar nada, 2023.

RG: Le due sezioni della mostra collocano l’archivio personale come spazio di costruzione e sovversione delle narrazioni ufficiali. Emergendo in opposizione al discorso politico e alle economie visive, la loro importanza risiede nella rappresentazione e nella riconfigurazione che offrono del conflitto storico tra narrazioni in conflitto. Cosa mi puoi dire a questo proposito?

CFBB: Entrambe le parti della mostra, “Huellas” e “No podemos dejar nada”, mobilitano archivi della memoria dell’esilio, archivi alternativi e indipendenti, che non appartengono a nessuna istituzione ufficiale e che fondono sia la storia politica sia le storie personali e familiari dellə loro proprietariə. La necessità di conservare archivi alternativi e indipendenti è indiscutibile; è l’unico modo per lasciarci alle spalle le storie dei “grandi uomini”, delle istituzioni ufficiali e delle narrazioni egemoniche. Ecco perché è così importante dare visibilità all’esercizio svolto per decenni da queste persone che hanno conservato, valorizzato e protetto questi oggetti e documenti. Questa persistenza della memoria di fronte all’oblio, espressa nella volontà di queste persone di salvare questi oggetti per 50 anni, non è né gratuita né facile; richiede coraggio e sforzo. Un esercizio che spesso viene assunto, dallə attorə, come “dovere di memoria”. Penso, ad esempio, agli spettacoli teatrali o al diario murale realizzato nei campi di prigionia in Cile. C’è stato qualcuno, in questo caso il signor Ariel Sanzana, che non solo ha ritenuto importanti questi documenti quando ha lasciato il carcere, ma li ha portati con sé nell’esilio in Svizzera e li ha conservati per tutti questi anni.

Perro anti-rep, contro la repressione della polizia, azione durante l’esposizione No Memorials. Histoires matérielles de l’exil chilien à Genève, 11 settembre 2023.
Perro anti-rep, contro la repressione della polizia e
Jardin des disparus, Siluetas, azione durante l’esposizione No Memorials. Histoires matérielles de l’exil chilien à Genève, 11 settembre 2023. N

D’altra parte, molti di questi oggetti e documenti non sono stati solo archiviati e chiusi in scatole, ma hanno vissuto all’interno di famiglie e associazioni legate alla storia dell’esilio e delle sue lotte politiche. Penso, ad esempio, agli striscioni che sono stati utilizzati più volte in molte manifestazioni, ai manifesti che hanno fatto parte di molte mostre, o agli oggetti che ancora oggi sono esposti come cimeli nei salotti delle case. Non possiamo ignorare il ruolo che gli oggetti stessi svolgono nel preservare e risvegliare le testimonianze dellə loro proprietariə. È proprio questa agenzia degli oggetti e dei loro materiali che abbiamo voluto sfruttare per mediare tra il pubblico della mostra e l’esperienza vissuta dallə loro proprietariə. L’installazione video delle performance di Marisa perderebbe ogni consistenza, diventerebbe troppo astratta, se non fossero presenti al centro della sala le tavole xilografiche dell’archivio paterno. Nell’installazione di Fulvia, invece, gli oggetti sono stati disposti in un dispositivo che li protegge e allo stesso tempo li espone e permette al pubblico di manipolarli in una certa misura. Il pubblico può girare gli oggetti per scattare una fotografia o scostare le tende per mostrarli.

Ci siamo spesso chiestə se questa mostra sia una prima fase, una fase di raccolta del materiale in modo che i musei o gli archivi locali prendano coscienza dell’esistente e si assumano la responsabilità della sua manutenzione. Tuttavia, non ha senso muoversi in questa direzione se la dinamica e l’agenzia che questi oggetti hanno all’interno della comunità perdono la loro forza. Si tratta in ogni caso di questioni su cui la comunità dellə esulə a Ginevra ha l’ultima parola.

Jardin des disparus, Siluetas, 2023.

RG: Secondo Herbert Marcuse, il ricordo permette di far rivivere la differenza, il potenziale radicale del futuro. Come vengono riattivate queste memorie nella mostra? Quali sono le pratiche culturali ed estetiche coinvolte e quali nuove prospettive si aprono per la disciplina storico-artistica?

CFBB: Fin dall’inizio ci è stato chiaro che non potevamo fare una mostra che fosse solo uno spaccato del passato, perché la storia dell’esilio cileno e il suo confronto con le condizioni dellə rifugiatə è un tema molto sentito oggi in Svizzera. Non per niente abbiamo ricevuto finanziamenti dalla città di Ginevra e dalla Confederazione Svizzera per realizzare questa mostra.

Dovevamo quindi andare oltre l’esposizione degli archivi di fronte a unə spettatorə passivə e coinvolgere attivamente il pubblico. Dovevamo mostrare le pratiche attive della memoria e la continuità di una lotta (che, sebbene fosse stata violentemente interrotta in Cile, continuava a essere viva all’estero e lo è ancora oggi). Per questo abbiamo proposto un programma di attività che non solo mediasse, ma mostrasse anche la contingenza di questi archivi. Tra queste attività ci sono quelle che vanno avanti da anni e che non hanno più confini, come i siluetazos, originari dell’Argentina, ma che si sono svolti negli anni ’80 anche in Cile e a Ginevra, come il lavoro con le arpilleras, presente in Cile come in esilio, o la stessa pratica dell’archiviazione collettiva che tante associazioni portano avanti da anni come forma di lotta.

Materiali documentari dell’esposizioneNo Memorials. Histoires matérielles de l’exil chilien à Genève, 2023.

La sopravvivenza di queste pratiche nel tempo e in luoghi diversi mi sembra un argomento molto interessante da approfondire. Soprattutto in relazione, come proponi nella tua domanda, con la storia dell’arte. Una disciplina che ha una tradizione intorno a concetti come “copia”, “trasmissione” e “sopravvivenza”. Nel caso particolare delle pratiche che le associazioni hanno svolto durante la mostra, mi viene in mente la mostra “Sublevaciones” di Didi-Huberman, e come l’immagine della rivolta sopravviva da un corpo all’altro, non solo come immagine passiva, ma attivandola. D’altra parte, di recente abbiamo invitato a una conferenza a Ginevra Paulina Varas, che sta preparando una mostra sulle “re-vueltas” e su come certe pratiche dell’attivismo cileno “sopravvivono” da una generazione di lotte all’altra. Mi sento molto vicino a queste prospettive più animiste di approccio alla storia dell’arte (anche se dovremmo piuttosto parlare, seguendo Belting, di un’antropologia dell’immagine), tuttavia non sono molto convinto della centralità che le immagini continuano ad avere in queste prospettive. Al di là della centralità delle immagini e della visione nella nostra cultura occidentale, ci sono altre configurazioni delle nostre esperienze sensoriali del mondo messe in gioco in queste pratiche. Ad esempio, l’importanza dell’esperienza tattile coinvolta sia nella costruzione delle arpilleras che nel posizionamento del corpo per i siluetazos. Un’esperienza, quella tattile, che, come ho scritto in altre occasioni, è stata in gran parte legata sia ad esperienze intime, sia ad un’esperienza di classe, quella operaia. Ad esempio, nel lavoro di Marisa il risultato visivo dell’immagine che stampa in realtà conta poco, è la riproduzione del contatto con una storia intima o con un corpo scomparso, che dà vita all’opera. È pericoloso ridurre tutta la nostra memoria a una dimensione visiva, che oggi è esacerbata dalla febbre di digitalizzare i documenti della memoria. Ci sono altri ricordi che vivono tra noi, sopravvissuti da altre configurazioni sensoriali, come la madeleine di Proust. Per questo ci è sembrato importante ritornare alla materialità dell’esilio e di queste azioni.

Marisa Cornejo, Huellas, 2023.
Marisa Cornejo, Huellas, 2023.
Marisa Cornejo, Huellas, 2023.

RG: Secondo me in Cile esiste un vuoto riguardo alla dimensione dell’esilio e alle reti di solidarietà emerse in Europa, legate o meno all’ambito artistico. Esplorate questo tema nella mostra? Come si manifesta?

CFBB: La mostra in realtà non cerca tanto di dialogare con la discussione che si è svolta in Cile, ma con una discussione che si svolge in un ambiente svizzero. La questione dell’esilio e del rifugio ha cessato di essere “periferica” o “frontiera” delle nazioni occidentali ed è diventata un elemento determinante della società contemporanea, una società xenofoba. Edward Said in Reflections on Exile ci racconta come la nostra epoca contemporanea sia definita come un’era di rifugio, di derattizzazione forzata delle persone e di immigrazione di massa. Una questione che continuerà a rafforzarsi con il cambiamento climatico, l’emergere della nuova destra e le difficoltà che stiamo incontrando nel pensare alle relazioni globali dopo l’ubriachezza del globalismo di inizio secolo.

L’esilio cileno e la solidarietà internazionale che lo circonda offrono un punto di contrasto con la situazione contemporanea in Svizzera. La solidarietà in questo paese è stata sorprendente. A differenza di quanto accaduto in altri paesi come l’Olanda, la Francia o l’Italia, il governo centrale svizzero non era particolarmente disposto ad aiutare chi cercava rifugio. Tuttavia, sono statə lə cittadinə a mobilitarsi per accogliere lə profughə. Un caso esemplare è quello delle Acciones de Plaza Libre, che consisteva in una rete di persone disposte ad accogliere lə esulə nelle loro case, oltre ad organizzarsi per farlə uscire dal Cile, portarli in Argentina, poi in Italia e infine aiutarlə a superare di nascosto la frontiera con la Svizzera per chiedere asilo. Tutto ciò è stato fatto in modo autonomo, indipendente e spesso disobbedendo al governo locale.

La dimensione transnazionale delle pratiche di cui abbiamo parlato sopra non è il prodotto della globalizzazione commerciale, del turismo, o di una volontà nazionale di internazionalizzazione, come quelle descritte da Andrea Giunta sull’arte argentina degli anni ’60-’70, ma è piuttosto un fenomeno causato da una tragedia, ma anche grazie alla forza organizzativa autonoma di migliaia di persone impegnate per un’idea di società.

Collectif Yanequén, Arpilleras, 2023.
Collectif Yanequén, Arpilleras, 2023.
Collectif Yanequén, Arpilleras, 2023.

RG: Un’ultima domanda sulla timeline. Che idea di tempo avete voluto recuperare?

CFBB: Per la sezione “No podemos dejar nada” Fulvia Torricelli ha realizzato una serie di workshop con la comunità dellə esulə di Ginevra per avere un’idea non solo di quali oggetti raccogliere per questa mostra, ma anche di come si doveva realizzare la curatela di quegli oggetti. In uno di questi workshop sono emersi due imperativi da parte della comunità. Il primo era che la mostra fosse didattica, che riuscisse a “raccontare” la storia di questi cinquant’anni. Ecco perché Fulvia ha deciso di incorporare una sequenza temporale. Questa linea temporale è stata proposta come un muro bianco solo con gli anni affinché la comunità e lə visitatorə della mostra potessero collocare le date che sembravano loro importanti in questa storia. È stata inoltre svolta un’attività speciale insieme all’associazione dellə cilenə residentə a Ginevra per riempire questo muro. La seconda esigenza emersa da questi laboratori è che nulla potesse essere lasciato indietro, non potessero esserci tagli o selezioni nella curatela degli oggetti. “Sono 50 anni, non possiamo lasciare nulla dietro”, ha dichiarato una delle partecipantə ai laboratori, frase che Fulvia ha adottato come titolo per la sua sezione della mostra. Mi sembra che questa frase sia eloquente nel sottolineare ancora una volta la responsabilità di chi porta con sé la memoria, la responsabilità di non poter lasciare nulla dietro, di dover ricordare tutto, nonostante il logorio insito in tale responsabilità. E nonostante tutto, nonostante anche le politiche dell’oblio che abbiamo visto emergere più di una volta da parte delle istituzioni politiche, la lotta per la memoria continua.

Parallelamente alla sequenza temporale, nella mostra vengono messe in gioco anche altre temporalità. Le tende trasparenti nella sezione “No podemos dejar nada” ci permettono di vedere diversi strati di memoria. La performance di Marisa è sempre la stessa ma rappresentata in luoghi diversi legati alla sua storia di esilio, reincarnandosi nuovamente nel tempo ciclico del trauma. Infine, anche la linea del tempo è andata oltre un’idea lineare di tempo, anche se all’inizio si è riempita solo di date ed eventi legati alla storia dell’esilio, non c’è voluto molto prima che comparissero slogan o scritte che andavano oltre a sottolineare una data particolare.

Fulvia Torricelli, No podemos dejar nada, muro de testimonios, 2023.



note

[i] Arpillera, che significa “tela”, è un’immagine patchwork dai colori vivaci realizzata prevalentemente da gruppi di donne. La realizzazione di arpilleras divenne popolare in Cile durante la dittatura militare di Augusto Pinochet.

[ii] Perro matapacos, che significa letteralmente “cane uccidi-sbirri” era un cane cileno che ha acquisito notorietà grazie alla sua presenza durante le proteste di strada verificatesi in Cile nel corso degli anni 2010.

[iii] Le siluetas, letteralmente “sagoma”, fa riferimento al siluetazo. Quest’ultimo consiste in un’azione estetico-politica collettiva volta a simboleggiare la scomparsa di migliaia di persone durante l’ultima dittatura militare in Argentina.

bio

Cristóbal F. Barria Bignotti è ricercatore, curatore e professore di storia dell’arte. Barria Bignotti è specializzato in arte latinoamericana dalla metà del XX secolo, in particolare in questioni di memoria, muralismo, studi sensoriali e digital humanities. Attualmente è docente del Diploma in Pratiche Curatoriali presso l’Universidad de Chile, co-editore della rivista scientifica QC dell’Instituto Ítalo Latinoamericano e co-ricercatore del progetto “Cartografía trasnacional del muralismo chileno en exilio”. Tra le sue pubblicazioni più importanti si ricordano i seguenti articoli: “Mestizaje, Transculturation, Anthropophagy, and the Lower Senses” (2022); “Los cinco sentidos del paisaje. Tacto, olfato, vista, audición y gusto en la teoría del paisaje de Alexander von Humboldt” (2020); “Clement Greenberg’s Media Differentiation and Gustave Courbet’s Tactile Appeal” (2019); e “Due Momenti Della Critica d’Arte Latinoamericana del Novecento” (2017). Ha inoltre curato il numero tematico: Alberti, C. & Barria Bignotti, C. F. (eds.) “Las artes en Latinoamérica a través de las Humanidades Digitales. Quaderni Culturali” (2021).

Roberta Garieri è dottoranda in Storia dell’arte contemporanea presso l’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne. Negli ultimi anni ha collaborato come ricercatrice e curatrice con diverse organizzazioni in Italia e in Francia. Scrive per monografie d’artista, cataloghi di mostre, riviste scientifiche e collabora regolarmente con riviste di critica d’arte (Hot Potatoes, Art, Politics, Exhibition Conditions (Milano); Archives of Women Artists, Research and Exhibitions;Point Contemporain (Parigi); Critique d’art (Rennes). Nel 2022-2023 è stata borsista presso la Bibliotheca Hertziana – Istituto Max Planck per la Storia dell’Arte di Roma.

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