The Gathering into the Maelstrom: la parola a Institute of Radical Imagination

a cura di Barbara Niniano.

Per immaginare una pratica artistica e curatoriale contemporanea, aperta e partecipatoria è imprescindibile aprirsi ad una riflessione critica applicata al sociale e al funzionamento dell’istituzione “arte”, esprimendo potenziali e limiti di questo sistema governamentale. Ciò che circonda e plasma questo mondo sono, ormai, processi di art-washing, apparati di cattura, macchine disciplinari che esercitano violenza sotto più fronti, portando a una cristallizzazione e ad un conseguente irrigidimento dei ruoli culturali e delle funzioni istituzionali della produzione, circolazione e ricezione dell’arte contemporanea nel tempo della globalizzazione. In questo senso, è necessario aprirsi a un totale atto decostruttivo, spogliando le istituzioni culturali dalla denominazione di dispositivi operativi neoliberali e brandizzati, e incanalandoli verso un divenire minore attuabile tramite un ripensamento e una rimediazione completa della loro natura.
È necessario orientarsi, quindi, su pratiche che agiscono in quanto attività culturali trasversali, interdisciplinari, sperimentali e, soprattutto, socialmente responsabili, che operano ai bordi dei contesti istituzionali e che hanno il potenziale di attivare investigazioni propositive riguardanti un’ampia sfera sociale e culturale. Spazi artistici, piattaforme di dialogo, progetti di radical education, pratiche editoriali, curatoriali, ricerche artistiche, biblioteche, archivi e spazi di condivisione si uniscono per delineare agognate contro-narrazioni alternative all’interno del panorama artistico contemporaneo.

Gathering into the Maelstrom | Platform, Action, Exhibition, a cura di Institute of Radical Imagination (IRI) e Sale Docks, Venezia.

Institute of Radical Imagination emerge in questo contesto sottoforma di ibrido tra centro di ricerca itinerante, rifugio per intellettuali e artisti a rischio, museo radicale e organismo decisionale che genera idee e conoscenze applicate che rispondono a specifiche urgenze. Il suo obiettivo è, infatti, creare processi di contaminazione reciproca tra istituzioni artistiche e organizzazioni politiche per conseguire una totale convergenza fra arte e vita, attuabile tramite l’implementazione di forme di vita post-capitaliste nel sud dell’Europa e nel Mediterraneo. La piattaforma lavora in modo nomade attraverso i nodi della rete – Madrid, Atene, Istanbul, Il Cairo, Palestina, Napoli – e si collega con altri nodi nel “Sud globale” – Europa orientale, America Latina, Sud-Est asiatico.

Durante l’opening della 60. edizione della Biennale di Venezia, Institute of Radical Imagination elabora un programma di quattro giorni co-curato in collaborazione con Sale Docks nell’ambito del progetto di cooperazione Museum of the Commons, lanciato da L’Internationale.

Gathering into the Maelstrom | Platform, Action, Exhibition, a cura di Institute of Radical Imagination (IRI) e Sale Docks, Venezia.
Gathering into the Maelstrom | Platform, Action, Exhibition, a cura di Institute of Radical Imagination (IRI) e Sale Docks, Venezia.

Gathering into the Maelstrom si presenta come un invito a imparare ad abitare le turbolenze e il vortice in cui siamo immersi, radicando la produzione artistica nelle lotte ecologiche e trasformando il campo dell’arte contemporanea in un territorio politico.

Per generare un “museo dei comuni”, è, d’altronde, inevitabile mettere in discussione la tossicità che permea le istituzioni culturali e, allo stesso tempo, costruire alleanze non capitalistiche, non coloniali, non patriarcali e non antropocentriche.

The Institute of People Oriented Culture Taring Padi da cui è emerso l’attuale collettivo Taring Padi, è stato fondato nel 1998 da un gruppo di studenti d’arte e attivisti in risposta agli sconvolgimenti socio-politici in Indonesia dopo la fine del regime militare di Suharto. Immagine tratta da Introducing the Lumbung Artists: Taring Padi, documenta fifteen, 2023.

Barbara Niniano: Per fare una breve introduzione mi piacerebbe iniziare chiedendo: cosa rappresenta per voi il progetto Institute of Radical Imagination e che ruolo gioca all’interno di un’ottica più generale di ripensamento e rimediazione del dispositivo istituzionale artistico e museale comunemente inteso?

Institute of Radical Imagination: Abbiamo formato Institute of Radical Imagination nel 2017 convocando in un unico collettivo artisti, attivisti e ricercatori accademici che negli ultimi venti anni hanno partecipato in prima linea a movimenti sociali geograficamente situati nel sud dell’Europa e in paesi che si affacciano sul Mediterraeno. L’idea di fondo è che attraverso il conflitto e l’attivismo si può aprire il campo del visibile e dell’immaginazione, operare all’interno dell’estetica e la produzione artistica in modo sovversivo, e prefigurare nuovi modelli di organizzazione e istituzioni alternative. Negli ultimi anni abbiamo affinato una metodologia in cui la produzione artistica si basa su strumenti quali l’inchiesta, l’assemblea, la barricata, la campagna mediatica, il camping, il corteo, la tenaglia che fa saltare il lucchetto di un cantiere, piccole barche che assaltano le grandi navi… insomma abbiamo portato gli artisti a produrre in contesti di attivismo, ad abitare il terreno delle mobilitazioni più che la galleria del museo. In modo speculare abbiamo anche interrogato i musei e le grandi istituzioni culturali, chiedendo loro di diventare la casa di questo processo e ancor più importante di divenire strumento di politicizzazione e soggetto attivo nel conflitto.

Gathering into the Maelstrom | Platform, Action, Exhibition, a cura di Institute of Radical Imagination (IRI) e Sale Docks, Venezia.

BN: Vorrei riflettere sull’importanza di realtà come la vostra che agiscono “stravolgendo” (o forse “hackerando”) il sistema dell’arte e l’accademia, mettendo in atto pratiche che scavalcano totalmente un’idea tradizionale di fruizione e di avvicinamento all’arte, ovvero la classica contemplazione neutrale di un’opera materialmente compiuta. Cosa pensate del fatto che, probabilmente, è arrivato il momento di cambiare, o decostruire, questi formati per andare incontro a delle metodologie di accessibilità e ricezione più all’altezza delle esigenze del presente?

IRI: Se pensiamo a progetti come Art for UBI Manifesto, Biennalocene, o Art for Radical Ecologies Manifesto, il nostro procedere continua a slittare da una disciplina ad un altra: dall’assemblea di collettivi che lancia una campagna, all’inchiesta in diversi territori, alla scrittura drammaturgica, alla performance teatrale, alla mostra nella grande istituzione, al sindacato e l’assemblea di lavoratori, all’aula di tribunale e alla negoziazione sulla busta paga. Non ci interessa documentare la lotta per portarla in galleria, ma piuttosto il contrario: portare artisti e musei nella lotta. È chiaro che la produzione artistica, in questo modo, diventa un processo di politicizzazione in cui vengono risucchiati come in una tromba d’aria diversi ambiti, discipline e soggetti eterogenei. Quello che ci pare interessante è che l’arte diventa questo mettersi in moto di una comunità in lotta che accetta di essere nomade e tracciare una linea di fuga comune. A volte l’opera compiuta, comunemente intesa in forma di performance, screening, installazione, emerge da questo processo ma non è il motivo per cui l’artista si mette in moto. Quello che mi sembra essere al centro è la forma di questa ritualità in cui ci si organizza per una urgenza comune.
Personalmente non sento l’urgenza di cambiare il formato, è un approccio che ricorda i dibattiti formali fra strutturalismo e post-strutturalismo del ‘900. Sento invece l’urgenza di organizzarci nell’epoca del collasso climatico, e nell’orrore di un genocidio in corso che si sta compiendo sotto gli occhi di tutti. Quando si ha difronte questo disastro a volte acquista un retrogusto snob prendersi il lusso di riflettere su metodi e formati istituzionali… Cercherei piuttosto di organizzarci per far fronte a questo buco nero in cui stiamo precipitando, e magari mentre cerchiamo di salvare il salvabile far mente locale sul modo e il formato in cui lo stiamo facendo.

Biennalocene è un’assemblea di lavoratorə dell’arte e della cultura di Venezia. È nata nel maggio 2023 da una performance-inchiesta di Sale Docks e dell’Institute of Radical Imagination.
Biennalocene è un’assemblea di lavoratorə dell’arte e della cultura di Venezia. È nata nel maggio 2023 da una performance-inchiesta di Sale Docks e dell’Institute of Radical Imagination.

BN: Riconoscere un rallentamento e una decelerazione della crescita delle istituzioni artistiche è uno dei temi con cui oggi ci si dovrebbe interfacciare. La curatrice Nataša Petrešin-Bachelez sostiene di optare per una decrescita delle biennali e delle altre manifestazioni che rinforzino l’attuale strutturazione cieca e capitalistica del sistema dell’arte. Pensate che sia effettivamente possibile, oggi, individuare delle zone di decrescita che siano completamente al riparo dai dispositivi della valorizzazione neoliberale e che siano in grado di incidere su un cambiamento reale?

IRI: Sicuramente abbiamo passato anni a criticare l’insostenibilità delle biennali e del sistema dell’arte. All’interno di IRI abbiamo proposto concetti come quello di “Permanenza Radicale” e di “Care Cities”, formati che rifiutano di essere basati sul consumo usa e getta di grandi flussi di pubblico, finanziarizzazione del real estate, precarizzazione della forza lavoro e desertificazione dei territori.
Il termine decrescita sta diventando un po’ una buzzword. Non a caso si è diffuso più che altro nel continente europeo del privilegio bianco: dobbiamo stare attenti che non si trasformi nell’illusione che tutto si possa risolvere solamente facendo un po’ di meno e stando attenti al prodotto bio sullo scaffale del supermercato. Crediamo, invece, che sia interessante parlare di decrescita solo se si mettono in discussione il modello capitalista di produzione e di estrazione delle risorse. Ma quando si porta la decrescita nel territorio dell’anticapitalismo, dell’antispecismo e dell’anticolonialismo allora i radical chic si spaventano e raffreddano l’entusiasmo.

Art for Radical Ecologies Manifesto, pubblicato il 3 novembre 2023 da
Institute of Radical Imagination:
https://instituteofradicalimagination.org/2023/11/02/art-for-radical-ecologies-manifesto/  
Cinema as Assembly | debate, Mao Mollona e Natalia Arcos con il filmmaker dal Chiapas Francisco Huichauqeo.  Photo courtesy Francisco Lion, 2018 ©

BN: Che significato ha per voi il potenziale sovversivo del queer? Come è possibile applicarlo all’interno di un’alteristituzione culturale in un’ottica di ridefinizione e ripensamento del sé?

IRI: Rilanciamo due punti che ci stanno a cuore. Il primo è che attraverso un processo di commoning, rifiutando gli aspetti del mondo che ci opprimono, e cercando di generare una relazione “altra”, quello che cambia è il nostro corpo e il nostro desiderio. Quello che prima eravamo portat* a desiderare, si rivela non più così importante e, quindi, conseguentemente, nascono altri gusti, altre percezioni, altri desideri. D’improvviso si è disposti a dare valore ad aspetti prima invisibili e di nessun valore. I nostri corpi si allenano a divenire altro.

Il secondo aspetto è la definizione di “istituzione mostro”, di cui Gerard Rauning cominciò a parlare anni fa, a fianco delle altre definizioni di “processo instituente”, “istituzioni del Comune”, “alteristituzioni”, “mockistitutions”. Ecco, nella definizione di “istituzione mostro”, mi pare emerga questo orgoglio di essere mostro, che è una cifra importante dell’azione contro-culturale. Mostro è frocio, è queer, è la normalità a cui non vogliamo tornare. Ciò che la cultura dominante fa percepire come un fallimento, rappresenta gli ingredienti più generativi per costruire una macchina desiderante altro.

Institute of Radical Imagination, courtesy of Mao Mollona 2020.
Institute of Radical Imagination, courtesy of Mao Mollona, 2020.

BN: All’interno di un ambito critico, espositivo e di ricerca artistica contemporanea, le pratiche decoloniali potranno mai disegnare effettivamente delle strategie curatoriali e delle metodologie lavorative adottabili dalle istituzioni per sovvertire le procedure di esposizione e di pensiero sul rappresentabile?

IRI: La vera domanda è: all’interno del genocidio in corso in Palestina che tipo di arte si può produrre? Crediamo nessuna. Se per arte si intende la produzione per mostre nei musei di arte contemporanea. Noi che siamo in luoghi sicuri possiamo cercare alleanze in reti di solidarietà per portare in salvo chi non è già morto, possiamo lottare contro la censura che una sorta di maccartismo dilagante sta operando su chiunque provi a dire che il progetto coloniale europeo sta riproducendo un ecocidio su base etnica. Possiamo, come stiamo facendo con un progetto che si chiama Cinema as Assembly, in collaborazione con Decolonize This Place, produrre una contro narrazione visiva, criticando quella mainstream nell’infosfera mediatica. Possiamo boicottare la filantropia tossica che controlla il sistema dell’arte e le università. In sostanza possiamo politicizzare l’arte come terreno di conflitto, e dare una mano per salvare il salvabile. Questo credo sia quello che nella migliore delle ipotesi può fare l’arte sotto le bombe, nello spazio che rimane fra la setticemia e la dissenteria, nel punto di non ritorno della storia del colonialismo.

Oliver Ressler, Ancestral Future Rising, 2023. Courtesy Oliver Ressler, Àngels Barcelona, The Gallery Apart, Rome © Bildrecht, Vienna 2024
Oliver Ressler, Not Sinking, Swarming, 2021. Courtesy Oliver Ressler, Àngels Barcelona, The Gallery Apart, Rome © Bildrecht, Vienna 2024

BN: Che tipo di lettura state dando al progetto generale Museum of Commons, in cui IRI e anche l’imminente programma Gathering into the Maelstrom – co-curato in collaborazione con Sale Docks – sono inseriti? Cosa rappresenta per voi l’opportunità di farne parte?

IRI: Quando abbiamo raccontato a Jay Jordan, Gathering into the Maelstrom, che il miglior modo di lanciare il libro Art for Radical Ecologies Manifesto è assaltare le Grandi Navi da crociera per non farle più entrare nella laguna, ci ha risposto: “Ottimo: non si dovrebbe più poter pubblicare un libro se non serve a fare una azione diretta!”. E credo che questa battuta colga lo spirito di questo programma: non serve fare arte se non è una chiamata all’azione e un rituale per ridefinire il modo in cui stiamo assieme.
Nel programma c’è anche una Climate Assembly di Museum of the Commons, sviluppata all’interno de L’Internationale: ciò che verrà trattato non sarà solo come i musei possano essere più sostenibili, ma anche come possano emanciparsi dalla dipendenza di finanziamenti tossici, e come si possa pensare a forme di Climate Strike istituzionale.

Gathering into the Maelstrom | Platform, Action, Exhibition, a cura di Institute of Radical Imagination (IRI) e Sale Docks, Venezia.
Gathering into the Maelstrom | Platform, Action, Exhibition, a cura di Institute of Radical Imagination (IRI) e Sale Docks, Venezia.

BN: Sempre facendo riferimento al programma Gathering into the Maelstrom, quali sono i temi e le urgenze che quest’iniziativa decide di affrontare anche in un’ottica di anticipazione della 60. edizione della Biennale di Venezia?

IRI: Sinceramente non stiamo lavorando su una anticipazione dei temi della 60. edizione. Anche perché andando avanti di questo passo diventa sempre più imprevedibile poter immaginare in quale situazione ci troveremo il prossimo anno. Ma la questione che credo emerga in modo evidente nel nostro programma è come possiamo creare organizzazione all’interno di una situazione geopolitica planetaria in fortissima turbolenza caotica, multipolare ed estremamente violenta. Come possiamo organizzare alternative credibili mentre stiamo ormai precipitando? E, forse cosa più importante, poniamo questo interrogativo all’interno di un dispositivo che è già azione, che è già strumento di attivazione.

Gathering into the Maelstrom | Platform, Action, Exhibition, a cura di Institute of Radical Imagination (IRI) e Sale Docks, Venezia.

BN: Il silenzio della Biennale è complicità? Che opinione avete rispetto all’inclusione del Padiglione di Israele nonostante la grande risonanza degli appelli firmati in favore della sua esclusione?

IRI: Ma certo che è complicità! Questo presidente di Biennale è chiaramente espressione del governo fascista di Meloni, che a sua volta è chiaramente appiattita sul sostengo Americano al nazifascismo sionista dell’Idf e del governo israeliano. Ironia agghiacciante è anche il fatto che il Padiglione Israeliano venga dedicato al tema della fertilità.
Questa è la situazione, e questo credo anche sia il motivo per cui IRI ha sostenuto dal momento del suo lancio ANGA (Art Not Genocide Alliance). E durante la vernice di questa Biennale ANGA, con il sostegno di IRI e Sale Docks, prenderà parola su tutto ciò.

Art Not Genocide Alliance (ANGA): No al padiglione Genocidio alla Biennale di Venezia





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