Non ci sono più cattivi maestri: Nanni Balestrini e l’arte come azione politica

Testimone letterario nel teatro del conflitto sociale di quel laboratorio politico italiano (prima e dopo l’autunno caldo) e, contemporaneamente, attore sul palco negli anni della rivolta, tempo di critica, disordine e sovversione dello stato di cose presenti, quando dal fuoco freddo dell’avanguardia, scriveva Franco Berardi Bifo: “emerse il volto angelico e diabolico di Nanni Balestrini, dalla testa fredda e il cuore caldo. O, contrariamente, il cuore freddo e la testa calda, chissà…” [i]

Poeta e narratore, artista visivo, maestro nel collage di immagini e parole, militante di gruppi extraparlamentari, da “Potere Operaio” ad “Autonomia”, per la sua capacità di organizzatore culturale e di animatore editoriale ha segnato generazioni di giovani e intellettuali. Nel 1969 è stato tra i fondatori di “Potere Operaio”, di cui seguì il design e il layout dell’omonima rivista creando una serie di collage tipografici. L’anno successivo fondò “Compagni” e contribuì alla progettazione di “Rosso” (1973-1978), entrambe riviste di matrice operaista.

Nanni Balestrini, Untitled, 1975, collage su carta 58x42cm, Collezione privata. Courtesy Frittelli Arte Contemporanea, Firenze. Photo credits Dario Lasagni.

«Sulle barricate c’erano delle bandiere rosse e su una c’era un cartello con su scritto: Cosa vogliamo? Vogliamo tutto»: la voce moltitudinaria è trascritta da Balestrini attraverso un nuovo soggetto collettivo-politico, parte di un’organizzazione antagonista e della sua storia: l’operaio-massa. Ancora oggi, nonostante le lotte siano cambiate, resta la potente traduzione di un desiderio in azione: Vogliamo tutto! Attraverso l’espediente letterario ci racconta la trasformazione della fabbrica in campo di battaglia, il passaggio da individuale rifiuto del lavoro a lotta di classe, la generalizzazione della conflittualità operaia alla società intera.

Nanni Balestrini, Untitled, 1975. Collage su carta 58x42cm. Collezione privata. Photo credits Dario Lasagni.

Incriminato nel quadro dell’inchiesta del 7 aprile dal «teorema Calogero», a causa della sua militanza a favore dei gruppi dell’Autonomia, si rifugia in Francia. Nel 1988 firma con Primo Moroni L’orda d’oro, pietra miliare nella ricostruzione di quella ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale che era stato il lungo ‘68 italiano, da un punto di vista interno alle lotte, nel mondo e contro il mondo. «Dopo vent’anni – aveva scritto Balestrini – la vendetta contro i “cattivi maestri” non è ancora terminata, a monito di tutti coloro che siano tentati di immaginare l’esercizio intellettuale libero dalla costrizione a riprodurre unicamente la società esistente» [ii].

In occasione della retrospettiva Nanni Balestrini: Art As Political Action. One Thousand And One Voices al CIMA – Center for Italian Modern Art di New York, che ripercorre un ventennio – gli anni Sessanta e Settanta – di militanza creativa e politica, pubblichiamo un estratto di “Cattivi maestri” di Nanni Balestrini, apparso in Settantasette. La rivoluzione che viene, di Sergio Bianchi e Lanfranco Caminiti, per DeriveApprodi nel 2004. Il testo è preceduto da una riflessione del curatore della mostra Marco Scotini sollecitato a rispondere su quel “materialismo creativo” [iii] che, nella concatenazione tra paradigma estetico e immaginazione politica, attraversa lotte sociali e protagonismo operaio, contestazioni studentesche e reinvenzione dei modi di vivere, nelle trame dei collages e degli assemblaggi testuali-tipografici esposti, dal sabotaggio all’opera, alla radicalizzazione del conflitto, nella convinzione che anche la produzione simbolica possa avere quegli effetti trasformativi, che solo l’azione diretta consente, per rovesciarsi in contro-soggettività.

Nanni Balestrini, Untitled, 1975 Collage su carta 58x42cm. Courtesy Galleria Michela Rizzo, Venezia. Photo credits Dario Lasagni.

L’esposizione che sarà visitabile al CIMA di New York fino al 22 giugno 2024, presenta oltre 70 opere e un’importante raccolta di materiale documentario che copre gli anni Sessanta e Settanta. A partire dai primi anni ’60, con la nascita del Gruppo 63, la mostra segue un itinerario che incrocia una figura come il compositore Luigi Nono e la collaborazione con Balestrini (Contrappunto dialettico alla mente che risale al ’68 è frutto di questo sodalizio), gli slogan studenteschi durante il maggio francese che avevano gettato il germe della soggettivazione politica (“L’immaginazione prende il potere”, “É proibito proibire”, “La più bella scultura è il pavé”, “Dire sempre di NO per principio”, etc.) trascritti nei muri della galleria romana La Tartaruga nell’azione I muri della Sorbona, fino a chiudersi nel 1980 con il libro Blackout, pensato come un’azione poetica suddivisa in quattro capitoli narrativi, che fa riferimento al blackout di 25 ore che gettò, nel ‘77, la città di New York nel panico, poi la scomparsa improvvisa e immatura del grande amico Demetrio Stratos al Memorial Hospital, l’esilio di Balestrini e la chiusura violenta e repressiva di quella ricchissima stagione.

Nanni Balestrini, Untitled, 1975. Collage su carta 58x42cm. Collezione privata. Courtesy Frittelli Arte Contemporanea, Firenze. Photo credits Dario Lasagni.

Quei giornali che aveva organizzato, ora Nanni Balestrini comincia – scriveva Toni Negri – a ritagliarli e a ricostruire figure e manifesti di un’avventura già repressa, ma sempre di nuovo risorgente e sempre più radicalmente sovversiva. [iv]

Resoconti epici della conflittualità operaia e sociale, espressa durante il lungo ‘68, anche i collages sono agenti di enunciazione collettiva: quali sono i nodi e i temi che ricorrono nell’organizzazione di quelle macchine visive che non erano mai «sue» ma appunto «dei compagni»?

Marco Scotini: «La testimonianza di Toni Negri, consegnata a Il Manifesto l’indomani della scomparsa di Balestrini è fondamentale. I collage a cui Negri fa riferimento sono quelli realizzati con ritagli di titoli e frammenti fotografici di Potere OperaioRosso e altre riviste di movimento. Non credo però risalgano solo alla fine degli anni Ottanta, quando l’avventura – appunto – è già repressa e i giochi sono già stati fatti. 

Ci sono un nucleo di collage politici che Balestrini, prima di lasciare l’Italia, consegna ad un amico che glieli restituirà al suo rientro. Di fatto queste serie finora non sono state mai esposte o rese note. Credo che i nove pezzi presentati al pubblico nella mostra al CIMA di New York, siano visibili per la prima volta ed è stata una felice riscoperta recente.Sicuramente la grande tavola bianca intitolata Potere Operaio del 1972 che ho esposto in diverse occasioni importanti (Disobedience Archive (The Republic) al Castello di Rivoli nel 2013 e L’Inarchiviabile. Italia anni 70 a FM Centro per l’Arte Contemporanea nel 2016) è una delle poche cose che conoscevamo rispetto al materiale verbale tratto da testi militanti. E questa, a sua volta, derivava da un collage su carta, di dimensioni ridotte, del 1969 – anno di fondazione del settimanale politico.

Certo negli anni in cui Balestrini, con Primo Moroni, concepisce L’orda d’oro possono essere anche quelli in cui rimette mano ai materiali sovversivi che lui stesso aveva contribuito a produrre. Pensiamo che è stato lo stesso Balestrini a invitare Giovanni Anceschi a disegnare gabbia grafica e testata di Potere Operaio nel ‘69 e che è Letizia Paolozzi (allora sua compagna) direttore responsabile del foglio settimanale Potere Operaio del lunedì dal 1972 al 1973. Comunque quello che caratterizza questi collage balestriniani sono i layout di colonne (dalle 6 alle 13) su cui si stagliano foto in bianco/nero, i cerchi rossi grafici della rivista, insieme a slogan come “Il rifiuto è politico”, “Ovunque sabotare il piano”, “Guerra di classe contro il lavoro”, “Perché iniziare la rivoluzione è bello”, ecc. Un impaginato che caratterizza fortemente questo ciclo rispetto agli altri ma, soprattutto, qualcosa che si sottrae a quell’affermazione troppe volte ripetuta che fa di Balestrini il manipolatore di dati neutri e casuali. Queste serie dedicate a Potere Operaio sono straordinarie per densità semantica, carica rivoluzionaria e formalismo estremo. Qui è come se avesse voluto proporci un “Vogliamo tutto” illustrato: corale, collettivo, sempre sul punto di dichiarare guerra. Sembra di essere tornati alla vertigine estetico/politica dell’Ottobre dei Soviet».

Nanni Balestrini, Untitled, 1975. Collage su carta 58x42cm. Courtesy Galleria Michela Rizzo, Venezia. Photo credits Dario Lasagni.

«Cattivi maestri»

di Nanni Balestrini

Il 7 aprile 1979 è ricordato come la data dell’arresto di leader e militanti dell’area dell’Autonomia. Ma è anche la data che segna la bancarotta di quella parte di intellettualità di sinistra che per più di dieci anni aveva, con intensità differenti, flirtato con i movimenti della contestazione prima e della sovversione poi. La gran parte di quegli intellettuali interiorizzarono immediatamente il terrorismo repressivo e, nel migliore dei casi, si comportarono da struzzi. Tolsero la testa dai loro buchi solo a bufera finita, giusto in tempo per avvantaggiarsi in qualche modo del grande saccheggio degli anni Ottanta operato da quel sistema dei partiti che aveva «salvato il Paese e riportato l’ordine».

Eppure, all’esplodere del ‘68 non sembrava questo il destino degli intellettuali. Il loro sostegno a quel movimento fu convinto e sincero, arrivando in alcuni casi a emulare, a volte in modo un po’ patetico, i comportamenti degli studenti e degli operai in lotta. Questo loro sostegno si accentuò, e anzi fu fondamentale, nell’opera di contro-informazione seguita alla strage di Piazza Fontana a Milano. Basti ricordare il documento di accusa delle trame che coinvolgevano apparati dello Stato nella strategia dello stragismo pubblicato da «L’Espresso» nel 1971 e sottoscritto da più di ottocento intellettuali tra cui Pasolini, Bobbio, Fellini, Guttuso, Eco, Levi, Bertolucci, Bevilacqua, Carniti, Argan, Moravia… Una decina di anni dopo, mentre ero inseguito da un mandato di cattura che mi accusava di aver partecipato a 17 omicidi, compreso quello di Moro e della sua scorta, mi fu chiesto di scrivere il testo di un appello di solidarietà a me stesso che fu poi firmato da una dozzina scarsa di persone.

Nanni Balestrini, Untitled, 1975. Collage su carta 58x42cm, Collezione privata. Courtesy Frittelli Arte. Photo credits Dario Lasagni.
Nanni Balestrini, Untitled, 1975. Collage su carta 58x42cm. Collezione privata. Courtesy Frittelli Arte Contemporanea, Firenze. Photo credits Dario Lasagni.

Comunque, a partire dal ‘68 la solidarietà e in molti casi la partecipazione diretta degli intellettuali nelle lotte dei movimenti fu molto ampia e si sviluppo fino al 1973. A provocare i primi ripensamenti contribuì senza dubbio la circostanza in cui mori Giangiacomo Feltrinelli. Una parte degli intellettuali intuirono che parteggiare per le posizioni più radicali e rivoluzionarie poteva essere un gioco pericoloso e che non si trattava più di dare il proprio civile contributo a un processo di semplice modernizzazione della società. Cominciarono cosi le prime prudenti prese di distanza. Ciò nonostante rimase ancora molto vasta l’area di coloro che continuarono a schierarsi e a operare dalla parte dei movimenti. Basti pensare all’intensissima attività in tutti i campi culturali di quegli anni e quanto quella produzione riuscì a influenzare la stragrande maggioranza della parte giovanile più impegnata socialmente. Ma quello che stava accadendo di nuovo e di rilevante era che i soggetti del movimento tendevano a non rapportarsi più da utenti e consumatori dei prodotti culturali degli intellettuali ma cominciavano essi stessi a costruirsi strumenti comunicativi: decine di giornali, riviste, etichette discografiche, case editrici, radio; inoltre un numero impossibile da censire di centri di documentazione, librerie, cineclub, spazi teatrali, laboratori creativi, Centri sociali. Tutto ciò viveva sparso in tutta Italia, anche nei centri urbani più minuscoli della provincia. Fu proprio riflettendo sull’entità di quella ricchezza di espressioni che io ed alcuni amici, nel giugno del ‘76, progettammo l’Ar&a, una società di servizi editoriali che offriva alle piccole case editrici la risoluzione dei problemi tecnici, amministrativi e commerciali. Dopo appena un anno raggruppavamo già una dozzina di case editrici e gestivamo un centinaio di titoli.

Nanni Balestrini, Untitled, 1975. Collage su carta 58x42cm. Courtesy Galleria Michela Rizzo, Venezia. Photo credits Dario Lasagni.

Il movimento del ‘77 aveva portato alla piena visibilità «i cento fiori», tutto questo fermento maturato negli anni precedenti. Ma fu proprio la caratteristica di quel movimento, che univa una forte radicalità politica a una produzione creativa e culturale autogestita, a determinare un allontanamento dai suoi percorsi di altri settori di intellettuali. Solo per chi era in diretto contatto con quelle nuove realtà di movimento poteva darsi possibilità di comprensione e quindi di dialogo, per tutti gli altri c’era solo lo «scemo scemo» a sottolineare l’assurdità della pretesa di perpetrare uno status di separatezza della funzione intellettuale che non aveva più alcuna ragione di esistere. Questo era il senso delle contestazioni ai «baroni» nelle aule Universitarie e a tutti gli analisti e specialisti che con i loro strumenti pseudoscientifici si prodigavano in interpretazioni sulla crisi della condizione giovanile. Certo, si trattava di una contestazione poco educata, ma ciò che maggiormente feriva l’orgoglio degli intellettuali non era tanto l’episodico gesto concretamente violento quanto l’ironia, l’irrisione e l’indifferenza verso il loro essere portatori di saperi in forme e contenuti separati. Il movimento del ‘77 rappresentava lo svuotamento generalizzato dei ruoli e delle funzioni che perpetuavano principi ordinativi gerarchici e disciplinari, tanto più di quelli che si esprimevano sul piano culturale.

Nanni Balestrini, Untitled, 1975. Collage su carta 58x42cm. Courtesy Galleria Michela Rizzo, Venezia. Photo credits Dario Lasagni.

La frustrazione di questi intellettuali incrociò l’appello del Partito comunista a farsi agenti del consenso contro tutti coloro che non volevano disciplinarsi entro il progetto del compromesso storico. In verità non furono in molti a rispondere a questo bando di arruolamento, solo i più stupidi rancorosi e, insieme, i più ingenui. In previsione dell’inevitabilità di uno scontro la maggioranza preferì defilarsi in silenzio. Davanti alla repressione montante la minoranza dissidente si ritrovò prima isolata, poi additata come ispiratrice e istigatrice della violenza del movimento, infine imputata della sua organizzazione e direzione. Intimidazioni, perquisizioni, diffamazioni, calunnie, arresti, carcerazioni, esili. Dopo vent’anni la vendetta contro i «cattivi maestri» non è ancora terminata, a monito di tutti coloro che siano tentati di immaginare l’esercizio intellettuale libero dalla costrizione a riprodurre unicamente la società esistente.

Nanni Balestrini, Art as Political Action, veduta della mostra, CIMA, New York, 2024. Courtesy Center for Italian Modern Art Photo by Dario Lasagni © 2024 Dario Lasagni.
Nanni Balestrini, Art as Political Action, veduta della mostra, CIMA, New York, 2024. Courtesy Center for Italian Modern Art Photo by Dario Lasagni © 2024 Dario Lasagni.
Nanni Balestrini, Art as Political Action, veduta della mostra, CIMA, New York, 2024. Courtesy Center for Italian Modern Art Photo by Dario Lasagni © 2024 Dario Lasagni.
Nanni Balestrini, Art as Political Action, veduta della mostra, CIMA, New York, 2024. Courtesy Center for Italian Modern Art Photo by Dario Lasagni © 2024 Dario Lasagni.
Nanni Balestrini, Art as Political Action, veduta della mostra, CIMA, New York, 2024. Courtesy Center for Italian Modern Art Photo by Dario Lasagni © 2024 Dario Lasagni.

note

[i] Franco Berardi Bifo, “On Nanni Balestrini. The Most Radically Formalist Poet of the Italian Scene”, introduzione a Blackout di Nanni Balestrini, traduzione Peter Valente, courtesy AK Press, 2017.

[ii] Nanni Balestrini, “Cattivi maestri”, in Sergio Bianchi, Lanfranco Caminiti, Settantasette. La rivoluzione che viene, DeriveApprodi, Roma, p.325.

[iii] «Ora, questo materialismo creativo, che anche la grande pittura come il grande teatro ci propongono nei momenti di crisi più pesante, è l’irresistibile linea difensiva che possiamo tenere. Pronti ad andare più in là, capaci di spedire fin da subito pattuglie in territorio ignoto, per osservare e sabotare, ma soprattutto per sperimentare e ricostruire», Toni Negri, “Lettera a Nanni sul costruire. Il materialismo poetico di Balestrini”, in Arte e multitudo, a cura di Nicolas Martino, DeriveApprodi, Roma, 2014.

[iv] Toni Negri, Nanni, l’imprenditore della moltitudine, in “Il Manifesto”, Roma, 8 giugno 2019.

[v] Nanni Balestrini, “Cattivi maestri”, in S. Bianchi, L. Caminiti, Settantasette, ibidem, p.325-327.

Nanni Balestrini, Epoca, 1971 Collage su carta 13 x 9 ¾ in. (33x25cm), Collezione privata, Milano. Photo credits Dario Lasagni.
Nanni Balestrini, Epoca, 1971 Collage su carta 13 x 9 ¾ in. (33x25cm), Collezione privata, Milano. Photo credits Dario Lasagni.

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