The Farm (Crossroad Community), di Bonnie Ora Sherk

«La fattoria era un’eruzione di natura in mezzo alla giungla di cemento…dimostrava che la vita avrebbe potuto ancora esistere lì» (Joan Holden, SF Mime Troupe)

 

«La maggior parte dei giorni è piuttosto facile imbattersi in scene come questa: persone di ogni età e razza che si prendono cura di ortaggi, fiori e piccoli alberi da frutto; anatre, oche e galline che “recitano” nel The Raw Egg Animal Theatre, uno spazio simile a un granaio dentro il quale il pubblico si compone principalmente di bambini impegnati a familiarizzare con gli animali, ad ascoltarne i rumori o disegnarli; e ancora conferenze dimostrative, tenute da un esperto di botanica, orientate a spiegare al vicinato come coltivare più ortaggi nel proprio orticello» (Harold Gilliam, A Battle of Open Space Out on Portrero, in “San Francisco Chronicle”, 8 luglio 1979)

 

«Hanno dovuto fare quel passo, lo sgombero, perché The Farm era fiorita fuori da tutti i canali ufficiali, era fuori controllo… É la stessa ragione per la quale quell’esperienza ci è piaciuta molto e ha rappresentato la vita per noi, hanno dovuto ucciderla perché rappresentava un disturbo, il malgoverno, l’anarchia…» (Joan Holden, drammaturgo, San Francisco Mime Troupe, in The Farm, documentario di Kathy e Mike Katz Kavanagh)

 

San Francisco, 1974. Bonnie Ora Sherk e Jack Wickert si erano spostati in quell’area asfaltata, abbandonata e desolata, sotto l’incrocio di uno snodo autostradale e vicino a un’ex fabbrica con terreni di risulta, con l’intenzione di strapparla al cemento e costruire una fattoria modello per l’educazione ambientale dei bambini in età scolare. Hanno fondato la Crossroad Community, conosciuta come The Farm, (un centro comunitario, una scuola senza pareti, un teatro umano e animale, pensati per creare uno stile di vita radicale a carattere ecologico) e coinvolto una comunità di artisti per contribuire a trasformare lo spazio. Il progetto era, secondo Sherk una «scultura ambientale e performativa in scala reale», una «cornice della vita» o meglio «teatro della vita» che prese la forma di un’«opera artistica multiculturale, agricola e collaborativa» che «ha radunato molte persone di diverse discipline e culture tra loro e con altre specie – piante e animali». Segnando un nuovo capitolo nella contesa tra gli interessi delle comunità locali e l’incremento della proprietà capitalista, The Farm costituiva una «zona autonoma», un’esperienza utopico-comunitaria che riuniva sotto il segno dell’arte, la botanica e la coltivazione, l’educazione e il teatro, con l’appropriazione di uno spazio liberato, riconosciuto oltre i limiti dell’istituzione, come diritto politico.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Pubblichiamo il testo Crossroads Community (The Farm), scritto da Bonnie Ora Sherk nel 1977 (in occasione del First International Symposium of the San Francisco Art Institute, Center for Critical Enquiry Position Paper) e contenuto nell’antologia di saggi e contributi Politiques de la Végétation. Pratiques artistiques, stratégies communautaires, agroécologie a cura di Marco Scotini (uscito nel 2019 per Eterotopia France, casa editrice diretta da Tiziana Villani) insieme a un approfondimento sulla pioneristica figura dell’artista californiana e le questioni condivise dal movimento femminista e ambientalista, intorno a The Farm, che Lucy R. Lippard ha definito come «l’opera più ambiziosa, riuscita e significativa sull’arte ecologica nel nostro paese».

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Se nel mondo dell’arte, il pensiero ecologico ha assunto una grande importanza, l’ecologia è interpretata in modi diversi da artisti, creatori di opere, azioni e spazi che sono molto critici nei confronti dei sistemi estetici contemporanei:

«Qualcosa che, in sostanza, avrebbe permesso al pensiero ecologista, al femminismo, all’antipsichiatria, alla critica postcoloniale di emergere come saperi carichi di futuro, una volta nati dall’effrazione del marxismo. […] Il pensiero ecologico, come tale, non può che confliggere con ciò che è presunto omogeneo e costante, con ciò che obbliga la terra ad essere centrata, misurata, espropriata, così come la vita ad essere biogeneticamente controllata, colonizzata, patriarcalizzata» (Marco Scotini, Politique de la Vegétation: l’ecologia come scienza nomade)

Il volume raccoglie testi di Atelier d’Architecture Autogérée, Joseph Beuys, Zheng Bo, Critical Art Ensemble, Mariarosa Dalla Costa, Wapke Feenstra (MyVillages), Amy Franceschini (Futurefarmers), Fernando Garcia Dory, Piero Gilardi, Bonnie Ora Sherk, Marko Pogačnik (OHO Group), Marjetica Potrč, Marco Scotini, Bouba Touré, Tiziana Villani, Philippe Zourgane.

Politiques de la Végétation presenta una genealogia e un insieme di esperienze in cui pratiche artistiche, attivismo e produzione di spazi si incontrano per mettere in evidenza i rapporti tra agricoltura e movimenti popolari, la costruzione di comunità urbane e rurali, per considerare anche il ruolo svolto dall’ecologia nelle politiche coloniali. Artisti, attivisti e teorici discutono sulle pratiche estetiche e politiche in questione, le relazioni e l’uso politico di ciò che di solito appartiene al dominio della natura e della scienza, proprio nel momento dell’accelerazione neoliberista e della cosiddetta green economy.

«Di fatto, – scrive Scotini nel suo saggio introduttivo – senza dissenso non ci può essere ecologia, ma solo soluzioni tecnocratiche. Dunque non c’è chi non veda come queste soggettività eterogenee (plurali, frattali e polifoniche) nate con il ’68 – e, dunque, lontano mille miglia dall’individualità neoliberista contemporanea – siano mosse da una volontà comune di de-professionalizzazione, di de-colonizzazione e de-patriarcalizzazione di tutte le strutture che definiscono l’ambiente, così come dal desiderio di riappropriazione di poteri collettivi autonomi sottratti, nella lunga durata, dal capitalismo: di autogestione e autogoverno dei propri corpi e delle proprie vite, di indipendenza radicale da ogni potere esterno, di cooperazione nel lavoro tra umani ed extraumani, di attivazione di economie di sussistenza».

Lontana dall’essere un substrato passivo e silenzioso, la natura è ancora un agente attivo nel cambiamento storico e indissociabile, in quanto tale, dall’azione umana. Dovrebbe quindi essere impossibile parlare di natura in generale, ma di particolari “nature storiche”, dove apparirebbero meno i dualismi natura/cultura, geografia/storia, struttura/sovrastruttura e così via.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

 

The Farm (Crossroad Community), di Bonnie Ora Sherk

San Francisco, Novembre, 1977.

Sembra che si possano trovare alcuni indizi sulla nostra possibile, positiva sopravvivenza come specie coinvolgendo noi stessi nel processo creativo umano (arte) e riesaminando il nostro posto come creature umane in relazione ad altre forme di vita, comprendendo e comunicando con quelle forme e sistemi di vita in modo più sensibile e consapevole.

In generale, le persone della nostra civiltà tendono ad essere estremamente presuntuose e ingenue nei confronti del loro rapporto con l’universo. Alcuni sintomi di questa immaturità sono: il razzismo e il sessismo; la ristrutturazione di gran parte della terra che viene ricoperta di cemento e il considerare le nostre moderne vite attraverso categorie informatiche confuse e giochi di ruolo burocratici; l’insensibilità alle intelligenze indigene e originarie di piante, animali e bambini; il disprezzo e la mancanza di rispetto da parte della collettività per l’unicità delle soggettività; il pregiudizio contro gli stati di sentimento; e la soverchiante avidità, lo spreco e il territorialismo di un numero enorme di persone, società e governi.

Se vogliamo continuare a vivere su questo pianeta e crescere come esseri consapevoli, dobbiamo conquistare un equilibrio più spirituale ed ecologico dentro di noi, tra gruppi e nazioni più grandi. Come possiamo farlo?

Bonnie Ora Sherk, progetto per Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Ognuno ha in sè il potenziale per la scoperta e può immaginare soluzioni a questi gravi problemi. Se possiamo imparare a fidarci, condividere, rilassarci e fuggire, saremo in grado di ricevere in ogni momento la magia che siamo e che ci circonda.

Nella mia vita ho cercato di capire e agire su queste questioni e valori che credo siano connessi all’essenza stessa del nostro essere. Attraverso l’arte e l’osservazione dei processi naturali ho sperimentato la totalità della vita e l’interconnessione di diversi stati dell’essere/conoscere/amare.

La creazione dell’arte è simile allo spirito e all’attitudine di un paese nella sua logica di totalità e processo. Tutto ciò che si trova in un paese è implicito nella città. Oggi, tuttavia, gli ambienti urbani, dovuti in parte agli eccessi tecnologici, frammentano i nostri spazi e le nostre vite in modo da avere difficoltà a sperimentare interi sistemi. Questa frammentazione ci guida verso la disintegrazione delle nostre personalità e la perdita delle nostre identità.

Come artista, ho cercato di espandere il concetto di arte per includere, e persino divenire, la vita, e di creare connessioni visibili tra estetica, stili e sistemi di conoscenza diversi. Il veicolo più recente e devozionale per questo incontro è un’opera d’arte collaborativa, multiculturale e agricola chiamata Crossroads Community, o più semplicemente, The Farm … Questa scultura performativa e ambientale su scala reale, è una proprietà pubblica senza scopo di lucro, composta da un insieme di risorse locali, statali e federali, che esiste su una moltitudine di livelli tra cui il fumetto, la metafora, la contraddizione e l’azione.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Fisicamente, The Farm è composta da una serie di spazi assembleari e comunitari simultanei: una fattoria con terra, «funky» ed elegante; uno spazio teatrale e di prova per diverse forme artistiche; una scuola senza muri; una biblioteca; una camera oscura per la fotografia; giardini straordinari; un ambiente interno/esterno per umani e altri animali; e infine un caffè, una sala da tè e un centro di nutrizione/guarigione.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

All’interno di questi luoghi molte persone di età, background e colore diversi vanno e vengono, partecipando e creando una varietà di programmi che si mescolano riccamente con i processi della vita di piante e animali. Tutti questi elementi vitali sono integrati e si relazionano in modo globale con coinvolgenti interfacce.

Sono queste interfacce che possono davvero essere le fonti di una nuova forma d’arte emergente. The Farm, come Life Frame, è particolarmente insolita, tuttavia, perché giustappone simbolicamente e in realtà, un monolite tecnologico con un complesso di arte/fattoria/vita. La Crossroads Community si trova nelle adiacenze di un grande svincolo autostradale sul suo lato meridionale, dove convergono quattro quartieri svantaggiati e tre insenature inutilizzate.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), veduta dell’incrocio sotto lo snodo autostradale, San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Ai confini settentrionali, The Farm si affaccia su uno spazio aperto di terra di 5,5 acri che la città di San Francisco ha appena acquistato per la costituzione di un parco di quartiere (The Farm è stato determinante nel richiamare l’attenzione sulla disponibilità di questa terra e nel convincere la municipalità ad acquistarla.)

Parte del sogno di The Farm è quello di scoprire le risorse naturali della terra, come l’acqua che scorre al di sotto, come riciclare il cemento che attualmente ricopre il terreno per creare ondeggianti colline, prati, giardini, mulini a vento, stagni, spazi per giochi e spettacoli, ecc. Questo lussureggiante ambiente verde collegherebbe The Farm con la scuola elementare pubblica che confina con il futuro parco a nord.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Il potenziale di questo progetto che coinvolge l’integrità creativa dei vicini e dei bambini delle scuole circostanti è sorprendente: come modello per altri luoghi; e come possibile serie di soluzioni per i numerosi errori urbani specifici che hanno riguardato questo sito. Un altro aspetto per il futuro è quello di confondere i confini tra i lotti di terra e agire individuando nuove possibilità per fluidi interscambi.

La difficoltà più critica per The Farm, al momento, è quella di rendere sensibile a questo dono una struttura indifferente e spaventata, un vero tributo all’umanità e una celebrazione della magia, pensata come “arte”.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

La creazione di The Farm è il risultato di molte realtà: prima, la consapevolezza dell’interconnessione tra idee, attitudini e situazioni apparentemente disparate. Una forte convinzione nel potere dell’arte nel suo senso più puro come oggetto in sé e anche come veicolo per il cambiamento.

L’urgenza di espandere l’idea dell’arte e del suo pubblico. L’interesse appassionato per il movimento e la trasformazione culturale. Il disagio verso la retorica e le modalità tradizionali – e considerate rivoluzionarie – che tendono invece ad alienare e incitare piuttosto che funzionare produttivamente in modo duraturo.

Una devozione verso la possibilità dell’evoluzione umana lontana dal comportamento immaturo del sessismo, il razzismo e l’insensibilità alla terra. Il potenziale per una maggiore consapevolezza sensoriale e comunicazioni sviluppate con la nostra specie e anche con le altre. Il senso di sistemi complessi e interi come una soluzione per il pensiero e l’essere frammentati. Una ricerca personale per comprendere la vita e viverla pienamente nonostante i rischi…

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

The Farm è un’opera d’arte sociale.

La considero una scultura performativa e ambientale a grandezza naturale con una stratificazione di significati, metafore e situazioni reali. La intendo come un’operazione artistica in grado di incorporare i campi divergenti di tutte le arti e la letteratura, l’educazione, i servizi comunitari, la salute pubblica, l’ambiente, l’urbanistica, la politica locale e il settore immobiliare.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

La denominazione di The Farm come arte è forse l’idea più sconcertante e problematica che un’istituzione possa accettare, perché gli elementi coinvolti sono diffusi e per lo sguardo e il pensiero convenzionali risultano difficili da comprendere.

The Farm è avanguardia e forse parla al futuro dell’arte. È una cornice di vita – un teatro di vita, e questo ci mette sempre in difficoltà quando parliamo di arte.

 

[Center for Critical Enquiry Position Paper, First international Symposium of the San Francisco Art Institute, novembre 1977]

Bonnie Ora Sherk ritratta nella Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Bonnie Ora Sherk ha coniato il termine Life Frames nei primi anni Settanta per descrivere sia gli aspetti visivi e concettuali delle sue performance pubbliche e ambientali, declinate in programmi educativi e partecipativi, sia le sue idee sull’arte, l’ecologia e la comunità, integrate in locazioni sia interne che all’esterno.

Bonnie Ora Sherk, Scene From Public Lunch, Lion House, San Francisco Zoo, 1971. Courtesy the artist.

Le sue prime opere “espanse” al campo del sociale erano lavori e azioni pubbliche life-oriented nei soggetti e nella scelta dei materiali – persone, animali, piante e sistema naturale – e incorporavano environments e pubblico con cui l’artista entrava in contatto. All’inizio degli anni Settanta, ad esempio, Sherk fece una serie di performance presso il San Francisco City Zoo, che includevano il consumo di un pasto all’interno di una gabbia vicina a leoni e tigri.

Bonnie Ora Sherk, Portable Park I-Ill, 1970 (with Howard Levine). Courtesy the artist.

Bonnie Ora Sherk, Portable Park I-III, 1970. Performance view. Courtesy the artist.

Più tardi, con l’artista Howard Levine, Bonnie Ora Sherk ha ricreato una serie di parchi portatili: oasi bucoliche che includevano una mucca viva, un tavolo da picnic, piante di palme in vaso, polli e erba. Il parco poteva essere trasportato da un sito urbano a un altro, allestito temporaneamente per un solo giorno e successivamente riassemblato in un altro spazio urbano. Manifestazioni più sviluppate delle sue idee hanno portato alla realizzazione di un complesso programma sociale, educativo, culturale ed ambientale con cui ha trasferito la sua visione di un’arte ecologica, sociale e partecipativa su un’ampia sezione trasversale e dal basso della comunità urbana partecipante.

Bonnie Ora Sherk, Portable Park I-Ill, Mission/Van Ness Offramp at Otis, 1970 (with Howard Levine). Courtesy the artist.

Per la prima serie di Life Frame: Portable Park I-III (1970), che comprendeva tre interventi nel paesaggio urbano di San Francisco, l’artista ha organizzato un set naturale che comprendeva erba, alberi, tavoli da picnic e animali per creare dei tableaux vivant per i passanti. Il primo è stato installato su un segmento senza uscita di un’autostrada senza pedaggio, il secondo su un sottopassaggio e il terzo su una strada del centro. Portable Park – sovvenzionato in parte dal finanziamento inaugurale della Society for the Encouragement of Contemporary Art di San Francisco – è stato installato in tarda notte, sorprendendo pendolari e lavoratori che si recavano nei luoghi di lavoro o durante le pause pranzo.

Bonnie Ora Sherk, Sitting Still 1, Facing The Audience Across From 101 Interchange Construction, Army & Bayshore Blvd., 1970. Courtesy the artist.

La serie successiva di lavori, Sitting Still (1970-71), che realizzò sempre a San Francisco, esplorava le connessioni tra la consapevolezza dell’ambiente urbano e il ruolo delle donne nella cultura contemporanea. Vestita con abiti da sera, Bonnie Sherk posizionò una poltrona in vari siti urbani – tra cui un angolo di strada, una discarica e il Golden Gate Bridge – e vi rimase seduta per ore e ore. Sia soggetto che oggetto, allo stesso tempo artista e opera d’arte, Sherk assunse una posizione immobile mentre gli spettatori la oltrepassavano nei loro veicoli. In tal modo, ha affermato la possibilità di portare l’arte fuori dalla galleria e in un più ampio dominio pubblico, oltre a mettere in discussione le aspettative delle donne nel sistema artistico: “A quel tempo mi sentivo molto simile a un oggetto in esposizione e le mie performance che concernevano l’isolamento femminile e la solitudine erano espressioni molto personali, anche se non sembravano necessariamente esserlo”.

Bonnie Ora Sherk, Sitting Still 1, 1970. Courtesy the artist.

Bonnie Ora Sherk, Scene from The Farm-Opening Night, San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Crossroads Community (The Farm), 1974-1980

Crossroads Community, conosciuta come The Farm, è stata una «zona autonoma», un centro di educazione ambientale urbana e un’«opera artistica multiculturale, agricola e collaborativa». The Farm prese corpo con l’obiettivo di trasformare un’area di terra abbandonata, sotto un’autostrada di recente costruzione, in un campo coltivato: una “città-fattoria” e parco al tempo stesso, situato nei pressi di uno svincolo autostradale – l’importante snodo di interscambio Highway 101, (allora) Army Street e Bayshore Boulevard/Potrero Avenue, vicino al Mission District di San Francisco.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

L’idea dei primi occupanti era di strappare al cemento un’area abbandonata per costruire una fattoria per l’educazione ambientale dei bambini di San Francisco. Con il tempo numerosi gruppi di artisti hanno iniziato a frequentarla, The Farm ha riunito sette acri di diversi lotti di terra per creare uno spazio comunitario: è stata una fattoria di animali, un centro di programmi artistici, un teatro per l’arte e attività performative (il San Francisco Mime Troupe è venuto a utilizzare The Farm come una sala prove, così come molti altri gruppi di artisti), una scuola materna, una galleria d’arte, una cucina in comune, un club punk-rock, ma soprattutto una sfida ai valori dominanti nella città. Era un posto occupato da un’organizzazione collettiva e community-based, spontanea, dal basso, indipendente e autonoma. Istituita come entità senza scopo di lucro, The Farm era una scultura vivente che ha anche costituito uno dei primi spazi alternativi per l’arte attraverso la concessione di un finanziamento congiunto della National Endowment for the Art, del California Art Council e del Trust for Public Land.

Bonnie Ora Sherk, 1974. Courtesy the artist.

Sherk è stata la fondatrice e alla sua direzione fino al 1980. Da allora il sito è passato a un parco cittadino con orti comunitari, ma per sei anni The Farm ha permesso ai visitatori di testimoniare e creare la connessione tra diversi aspetti della vita, integrando natura e cultura in un intero sistema vitale. Tutto è cominciato nel 1974 e si è concluso con uno sgombero nel 1987. Una lunga battaglia legale è andata avanti per anni tra gli occupanti e i proprietari terrieri, fino allo sfratto del ​​5 novembre 1987. I padroni del terreno hanno detto che sarebbero stati disposti ad affittare a chiunque al «valore di mercato», ad eccezione dei residenti di The Farm.

Questa “scultura performativa” a grandezza naturale, come amava definirla l’artista, ha ospitato persone di differenti discipline e culture insieme a una diversità di specie animali e vegetali. É stato anche un luogo di incontro e socialità per le minoranze etniche del vicinato – sudamericani, filippini, samoani, afroamericani e caucasici. La comunità promuoveva progetti esplicativi sull’agricoltura responsabile; classi di arte e danza per bambini; laboratori di ceramica e incisione; uno spazio per le prove e le esibizioni a supporto di gruppi musicali e teatrali locali; attività per pazienti psichiatrici e anziani; una serra solare; orti biologici; e il Raw Egg Animal Theater, dove i bambini potevano osservare e avvicinarsi ad anatre, oche, conigli, capre e galline. The Farm è stata la più ambiziosa e utopica Life Frame di Bonnie Ora Sherk e, sebbene seguissero altri spazi alternativi per l’arte, si è distinta per la sua visionarietà estetica di vita, scultura e performance, che si presentava potenzialmente omnicomprensiva, respingendo, o rifiutandosi di ammettere, conflitti e gerarchie. Secondo Rhodessa Jones:

«The Farm è stato uno dei primi spazi culturali, ex industriali, multiuso e multi-disciplinari di San Francisco».

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

«Da un certo punto di vista The Farm rappresentava semplicemente un nuovo capitolo nella contesa tra gli interessi delle comunità locali e l’incremento della proprietà capitalista. Un consorzio di quartieri, in cerca di opportunità per esprimere e confrontare collettivamente la propria identità e i propri bisogni, vide nelle nuove terre abbandonate, risultanti dall’espansione del sistema delle autostrade, l’ideale occasione per conquistarsi un proprio spazio, iniziando ad adoperarsi in questa direzione. Il pensiero con cui Sherk concepì l’esperienza di The Farm, ossia come “scultura ambientale in scala reale”, “cornice della vita” o ancora “teatro della vita”, fu ciò che la rese diversa e persino, assieme a diversi altri fattori, possibile. L’utopica ambizione di The Farm includeva la commistione dei processi di produzione, educazione, teatro e azione diretta, tutti riuniti sotto il segno dell’arte. Sherk disconobbe una lettura del progetto come opposizione politica dimostrandosi favorevole verso la più comprensiva accezione di “movimento culturale e di trasformazione” che, diversamente dal conflitto, propone l’evoluzione come dispositivo d’azione. Se realmente l’ambito dell’arte appare come l’ultimo vero spazio umano, in una società alienata e divisa, allora tutte le società devono essere trasformate in arte». (Will Bradley, Some Ideas for Liberating the Ferris Wheel, in “No Order – Art In A Post-Fordist Society”)

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Negli ultimi anni, Bonnie Ora Sherk ha collaborato con comunità, architetti, educatori, paesaggisti e urbanisti, per sviluppare il suo concetto di Living Library attraverso proposte presentate a varie istituzioni. Questi giardini urbani sono piattaforme per l’educazione alla diversità culturale ed ecologica ed evidenziano le interconnessioni tra sistema biologico, culturale e tecnologico. Lo spirito di generosità, l’incoraggiamento alla collaborazione e la profonda motivazione di Sherk per educare e promuovere le comunità verso la sostenibilità ambientale e la diversità culturale sono esempi delle preoccupazioni condivise dal movimento femminista e ambientalista. L’artista definisce Living Library come “an indoor/outdoor culture-ecology”, o meglio come un “magnete per l’apprendimento permanente che porta la cultura locale e l’ecologia da un luogo alla vita”, unendo i settori più disparati della comunità, integrando gli ambienti costruiti ed ecologici con “le discipline umanistiche, le scienze naturali e sociali …. attraverso piante, opere d’arte visive e performative, un esteso programma di lectures, rassegne e workshop, arti e tecnologie video-informatiche”. Bonnie Ora Sherk ritiene che il collegamento tra natura, sistema culturale e tecnologico sia fondamentale e la consapevolezza delle connessioni essenziali viene interiorizzata quando le persone sono impegnate in azioni significative per la comunità.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

Bonnie Ora Sherk, Crossroads Community (The Farm), maquette, San Francisco, 1974-80. Courtesy the artist.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *