Dear Harald Szeemann: Who the hell are you calling a whore?*

“Affinché l’arte femminista e la rivoluzione femminista abbiano la priorità […], le esposizioni dovrebbero dare la massima visibilità alle artiste […] e offrire speciali opportunità di visibilità ai gruppi minoritari all’interno della comunità femminile” [i]

Il 3 luglio del 1972, Lucy R. Lippard inviava una lettera pubblica, indirizzata ad Harald Szeemann, per protestare contro l’inesistente partecipazione femminile alla Documenta . [ii]

“L’organizzazione di mostre di donne artiste era un diverso tipo di attivismo implicitamente sovversivo, molto ostacolato nel mainstream, e decisamente un processo di appropriazione (piuttosto che di rivendicazione) dello spazio espositivo”: nel passaggio dal formato concettuale dei Numbers Showc.7500 del 1973 ospitava solo artiste donne – al display femminista di Both Side Now: an International exhibition integrating Feminism and Leftist Politics, curata presso Artemisia Gallery nel 1978 a Chicago, Lippard traccia una critica culturale ai regimi di produzione e rappresentazione dei segni che mettono in scena, nello spazio della mostra, la complicità del potere con le strutture economiche del mondo dell’arte.

Lucy R. Lippard. Protest Art Workers Coalition, 1976.

Exhibition Catalogue, “c. 7,500”, Numbers Show, a cura di Lucy R. Lippard, 1973, prima mostra con sole artiste donne.

“There are no women making conceptual art”, Exhibition Catalogue, “c. 7,500”, Numbers Show, a cura di Lucy R. Lippard, 1973.

Number Show “C. 7,500”, a cura di Lucy R. Lippard, Walker Art Center, Minneapolis, Minnesota, 1973.

Collettivi come Women Artists’ in Revolution, sottogruppo degli Art Workers’ Coalition, o Ad Hoc Women Artists’ Committee, reclamavano la democratizzazione della produzione artistica ed espositiva attraverso azioni e forme concettuali di protesta cui partecipò attivamente la stessa Lippard, che nel 1970 fondò Women’s Slide Registry, che a quel tempo conteneva oltre seicento schede di donne artiste – non rappresentate dal sistema di gallerie/musei. Divulgarono newsletter, posters e riviste, ottennero una serie di richieste dentro i luoghi istituzionali dell’arte – dai picchetti fuori dal Whitney per una più alta rappresentanza femminile nelle mostre annuali, alle mobilitazioni contro il MoMA, fino all’elaborazione di strategie pedagogiche femministe nel contesto di programmi educativi come Fresno Feminist Art Programs o Feminist Studio Workshop (FSW) – dando un forte impulso alla diffusione di contro-esposizioni di matrice femminista.

Fresno Feminist Art Program, Cheerleaders, 1971, da sinistra a destra: Cay Lang, Vanalyne Green, Dori Atlantis, Sue Boud.

Alcuni modelli curatoriali femministi (o di “feminist curating” rispetto alla discussione internazionale sulla genderizzazione dell’exhibition-making), in un intreccio di iniziative artistiche, comunitarie e pedagogiche, ridefinivano l’uso di risorse, infrastrutture e istituzioni legate alla configurazione sociale del sistema dell’arte e i suoi segmenti produttivi, generando nuove epistemologie e narrative emergenti. L’esclusione e la marginalizzazione delle donne e del lavoro artistico femminile hanno contribuito alla fondazione di organizzazioni a gestione cooperativa, come la come prima galleria no-profit per sole donne A.I.R. (Artists in Residence) del 1972 o spazi di sperimentazione e di auto-determinazione “separatisti”. Un network di realtà indipendenti dalla cultura dominante e di resistenza periferica alle formazioni egemoniche, dove sviluppare esposizioni e performance femministe in situazioni fuori dall’established, mirava a fornire un’alternativa al “sistema dei critici-mercanti” maschi, attraverso l’istituzione di centri autonomi – da Womanhouse aperta nel 1972, a Woman’s Building lo spazio affittato dalla FSW nel 1973 e definito “la mecca femminista”.

Esterno della Womanhouse, i lavori di risistemazione iniziarono nell’autunno 1971.

“Aprons in the Kitchen”, Womanhouse, 1972.

“Linen closet”, Womanhouse, 1972.

Cover “heute Kunst” magazine con Natalia LL,1975. Neither bananas nor porno-magazines were common, though!

Nel 1975 VALIE EXPORT cura la mostra MAGNA. Feminism: Art and Creativity. Nello stesso anno l’artista polacca Natalia LL partecipa alla collettiva Frauen – Kunst – Neue Tendenzen alla Galerie Krinzinger di Innsbruck. Nell’Est Europa seguiranno altre esposizioni femministe, che incanalavano il desiderio di emancipazione delle donne artiste, fino alla First International Women’s Art exhibition in Poland alla PSP Jatki Gallery (Wrocław, 1978). Sempre nel 1978 il Centro Culturale Studentesco (SKC) di Belgrado ospitò la prima conferenza internazionale Comrade Woman: Women’s Question – A New Approach? che ha radunato teoriche femministe e artiste provenienti da entrambi i fronti della “cortina”; l’artista croata Sanja Ivekovič racconta, in proposito, come le donne nei paesi comunisti abbiano fortemente cercato di far sentire la loro voce e come «furono pesantemente criticate dall’organizzazione ufficiale, che affermava che il femminismo era solo un’importazione borghese dell’Occidente e la questione delle donne era già stata risolta durante la rivoluzione socialista».

Katalin Ladik, Zagreb, 1970.

Csernik Attila, Testprintelés Ladik Katalinnal, 1971.

I tempi e retoriche della cura, come paradigma etico-politico del lavoro contemporaneo e delle forme di valorizzazione, presentano analogie con la pratica del curating e il regime di visibilità, insieme effettivo e discorsivo dell’arte in un pubblico dominio attraverso l’atto di esibizione, soprattutto oggi che gratuità, relazionalità e flessibilità sono al centro delle trasformazioni del lavoro. Il femminismo è riuscito a dimostrare il ruolo economico rivestito dai processi della cura e della riproduzione sociale, come elementi strutturali dentro a una funzionalità capitalistica. Il mondo dell’arte non è estraneo ai rapporti sociali e si organizza a partire dalla gerarchia implicita (e mai esplicitata) di una scala maschile di valutazione in cui la donna occupa una posizione minoritaria (gap salariale, inferiore rappresentanza nelle istituzioni e nel mercato) attraverso la naturalizzazione delle asimmetrie di genere, la soggettivazione patriarcale dei ruoli, la cattura neoliberale degli immaginari femministi e dei suoi strumenti di rottura.

L’estetica femminile – secondo Nelly Richard – di solito connota l’arte che esprime la donna come un fatto naturale (essenziale) e non come una categoria simbolica-discorsiva formata e deformata dal sistema di rappresentazione culturale. L’arte femminista non rappresenta dunque l’universalità di un’essenza femminile tradizionalmente riservata alle donne dentro un sistema binario maschile-femminile. D’altra parte, una “estetica femminista” postula la donna come un segno (o un’assegnazione discorsiva) immerso in una concatenazione di forme patriarcali di oppressione e repressione che devono essere rotte, attraverso la consapevolezza che la superiorità maschile possa essere esercitata ma anche combattuta.

Elvira Vannini

Natalia LL, Consumer Art, 1975.

Ewa Partum, Poem by Ewa, 1971, photographie noir et blanc / performance, © ADAGP, Paris.

Anna Kutera, I’m decide [sic!] about my hairstyle, not fashion dictatores, tratto dalla serie Situations stimulated – Hairstyles, 1978.

Nel 1968 Maria Pinińska-Bereś inizia una serie di lavori intitolata Psycho Furniture, mostrata all’esposizione feminista Women’s Art alla Galeria ON a Poznan nel 1980.

Il testo è stato pubblicato in occasione di WOoj. Women Out of Joint. Il femminismo è la mia festa, che si è svolto il 28-29-30 settembre presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.

cover del catalogo, Feministische Kunst Internationaal, DE APPEL Gallery, Amsterdam, 1978.

note:

[i] Ruth Iskin, A Space of Our Own, Its Meanings and Implications, in “WOMANSPACE Journal” n. 1, February/March 1973, p. 9.

[ii] il titolo del testo è ripreso dall’incipit della lettera di Lippard ristampata in Tobia Bezzola, Roman Kurzmeyer, Harald Szeemann – with by through because towards despite: Catalogue of All Exhibitions 1957 – 2005, Edizioni Voldemeer and Springer, Vienna, 2007, p.365.

 

The Conference Comrade Woman – Art Program (On Marxism and Feminism and Their Mutual Political Discontents), Student Cultural Centre (SKC), Belgrade, 1978.

The international conference Comrade Woman: Women’s Question – A New Approach? (Drug-ca Žena: Žensko Pitanje – Novi Pristup?), Student Cultural Centre (SKC), Belgrado, 1978.

The international conference Comrade Woman: Women’s Question – A New Approach? (Drug-ca Žena: Žensko Pitanje – Novi Pristup?), Student Cultural Centre (SKC), Belgrado, 1978.

The international conference Comrade Woman: Women’s Question – A New Approach? (Drug-ca Žena: Žensko Pitanje – Novi Pristup?), Student Cultural Centre (SKC), Belgrado, 1978.

SKC Gallery, esposizione di Goranka Matic e Nebojsa Cankovic, durante la prima conferenza internazionale femminista a Belgrado.

 

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